Perché i videogiochi ignorano la Prima Guerra Mondiale
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Perché i videogiochi ignorano la Prima Guerra Mondiale

I titoli ambientati nel 1914-18 sono pochi: ecco cinque spiegazioni possibili, a un secolo dallo scoppio del conflitto - 100 anni

I videogame di guerra si contano a decine, sia che mettano in scena un conflitto fittizio, magari contro degli alieni, sia che peschino da fatti realmente accaduti. In quest'ultimo caso, però, colpisce la ridotta presenza della Prima Guerra Mondiale, scoppiata il 28 luglio 1914, esattamente cent'anni fa.

Il sito francese HistoriaGames, che suddivide i titoli in base all'ambientazione storica , fornisce alcuni dati interessanti. Sebbene gli strategici in tempo reale e gli sparatutto ambientati nell'età contemporanea rappresentino la maggioranza dei giochi di guerra, il grosso si svolge durante la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda oppure la Guerra di Secessione. Ecco alcune ipotesi sul perché.

Il nemico come male assoluto
L'identificazione del giocatore nelle vicende narrate è un motore importante e non sorprende che i nemici da affrontare siano spesso tratteggiati come il male assoluto. Accade soprattutto con gli sparatutto, in cui i nazisti o i terroristi (ma anche gli zombi, non a caso) rappresentano la perfetta carne da macello. È un approccio manicheo: da una parte i buoni, dall'altra i cattivi, senza zone grigie – Spec Ops: The Line (2012) fece parlare di sé proprio grazie al ribaltamento di questo schema, poiché metteva il giocatore nei panni del cattivo. La Prima Guerra Mondiale al contrario non offre facili appigli dogmatici: gli avversari non rappresentano ideologie estremiste o religioni radicali, sono uomini che combattono per il proprio paese.

L'ideologia dominante
Il discorso sul nemico come male assoluto si allarga a un contesto più vasto: frequentemente i giocatori vestono i panni del baluardo della democrazia liberale in lotta contro i totalitarismi e dunque i cadaveri seminati lungo la campagna sono legittimati dall'ideologia dominante. Ancora una volta, i fatti della Prima Guerra Mondiale faticano a essere incasellati in questo modello.

La tecnologia piace
È un discorso che riguarda solo gli sparatutto ambientati negli ultimi decenni, ma ha comunque un suo interesse. L'idea dell'azione eroica compiuta da un solo uomo, per un bene supremo e all'interno di un contesto manicheo, ben si sposa con la suggestione che il giocatore sia superiore al nemico. Non solo moralmente: anche tecnologicamente. Da questo punto di vista, la contemporaneità consente il ricorso a gadget e armamenti impensabili durante il 1914-18, vedi ad esempio il Lockheed AC-130, la cannoniera volante con sistemi di puntamento capaci di distinguere se chi si muove al suolo è un alleato oppure no (lo si usa nei tre Call of Duty: Modern Warfare, ad esempio).

La parola d'ordine è avanzare
La storia degli sparatutto e degli strategici in tempo reale insegna che il successo commerciale è legato alla dinamicità dell'azione, all'idea di un fronte mobile e di un'avanzata perenne. Concetti che mal si adattano alla Prima Guerra Mondiale, che è una guerra di posizione in cui migliaia di uomini muoiono per conquistare pochi metri e altrettanti sono sacrificati per riconquistarli.

L'influenza degli Stati Uniti
Gran parte dei videogame di guerra sono prodotti negli USA ed è in qualche modo figlia del loro immaginario comune, che è poco legato alla Prima Guerra. Anche in termini di film e serie televisive, il grosso dell'attenzione è spostato in tempi più recenti, alla vittoria contro i nazisti, al trauma del Vietnam, al pericolo terrorista.

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Aldo Fresia

Scrivo di cinema e videogame. Curo e conduco la trasmissione radiofonica Ricciotto.

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