Twitter approda in TV con le hashtag page e si dà alla social curation
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Twitter approda in TV con le hashtag page e si dà alla social curation

Twitter lancia il primo spot TV durante il campionato Nascar. Ecco le hashtag page per i brand, un’idea strategica con cui Twitter punta ad abbattere le barriere tra utenti, contenuti e pubblicità

Cos’è successo? Stavo guardando il campionato NASCAR sul satellite, c’era Joey Logano che stava spadroneggiando a Pocono, quando a un certo punto parte la pubblicità e mi trovo davanti quello scarpone di Brad Keselowski che smanetta con il suo smartphone dall’abitacolo...

Sì, è il primo spot TV di Twitter, è andato in onda ieri durante la gara di Pocono perché è frutto di una partnership tra Twitter e NASCAR.

Certo mi ha messo curiosità, quel’URL twitter.com/#NASCAR alla fine dello spot, così sono andato a vedere di che si trattava e mi sono ritrovato in una specie di brand page della Nascar, con tanto di banner e tweet scelti. Ma scusa, tu che lavori con ‘ste cose: Twitter mica era una piattaforma di microblogging?

Tecnicamente sì, anche se da ieri evidentemente si appresta a diventare qualcosa di più.

Dopo aver modificato lo storico logo introducendo un nuovo pennuto, Twitter ha introdotto nel suo business model qualcosa di strategicamente simile alle Facebook Pages e alle brand page di Google+, ma potenzialmente più efficace. L’URL pubblicizzato dallo spot TV Twitter-Nascar non rimanda semplicemente alla pagina Twitter del campionato automobilistico Nascar, bensì a una una sorta di canale live-blogging dove vengono riversati i tweet corredati di hashtag #NASCAR, insieme ai contenuti creati e caricati dallo stesso entourage Nascar. Tecnicamente, si tratta di una Hashtag Page.

Non tutti i tweet pubblicati con l'hashtag #nascar compariranno sulla relativa hastag page, solamente quelli che verranno giudicati rilevanti o interessanti. Da chi? Dal solito algoritmo-segugio esperto in rilevanza, ovvio, ma anche (e questa è una novità) da persone in carne ed ossa che si occuperanno di setacciare il flusso di tweet rovesciati sul canale alla ricerca delle pepite degne di merito. In sostanza, degli editor che si occupano di “curare” la hashtag page per renderla il più coinvolgente possibile.

Quello che per alcuni è un chiaro cambio di rotta nell’approccio di Twitter alla gestione dei contenuti (c’è chi, come Matthew Ingram , parla ormai senza mezzi termini di Media Company), è in realtà un’ottimizzazione di un business model già incredibilmente proficuo. Stando alle previsioni di eMarketer , da qui al 2014 Twitter ha i numeri per raddoppiare gli introiti annuali derivanti dagli ad, passando dai 260 milioni di dollari previsti per fine 2012 ai 540 milioni previsti per il 2014.

Che Twitter intenda o meno diventare un nuovo tipo di media, in termini di sopravvivenza nell’odierno mondo dell’hi-tech, conta relativamente. Mentre Facebook si danna nel tentativo di monetizzare un servizio tanto ubiquo quanto commercialmente aleatorio, mentre Google per contro si esaspera nella speranza di diventare abbastanza social, Twitter sembra aver trovato un modo del tutto personale di cavar quattrini dall’utenza.

Le hashtag non sono certo una novità, e la loro comparsa in televisione nemmeno (ormai tutte le maggiori serie TV hanno un hashtag in sovraimpressione), la vera novità consiste nella scelta di abbattere le tradizionali barriere tra contenuto pubblicitario e contenuto mediatico, mischiandoli sotto un unico ombrello a forma di hashtag. Utilizzando le hashtag page, i brand possono provare a dirottare le vivaci conversazioni che gli utenti twitter già producono intorno al loro prodotto, fin dentro il loro steccato. Qui il titolare del brand può curare il flusso di tweet generato dagli utenti e corredarlo di contenuti propri: tweet da testimonial famosi, contenuti e notizie di prima mano (ad esempio le foto scattate dai corridori in pista) e, naturalmente, spot pubblicitari.

A questo punto non riesco a non pensare a Microsoft. Negli ultimi anni, l’azienda di Redmond ha speso fior di energie nella calibrazione dei suoi NUads, spot pubblicitari interattivi che sfruttano Kinect per interagire con l’utenza. Ecco, se le hashtag page riusciranno davvero a calamitare l’attenzione degli utenti, Twitter sarà riuscito a rendere interattiva la pubblicità senza quasi sollevare un dito. E, soprattutto, senza bisogno di un Kinect.

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Fabio Deotto