Ecco perché Facebook vuole inglobare i giornali online
keith morris (keith morris / Alamy/Olycom
Social network

Ecco perché Facebook vuole inglobare i giornali online

Zuckerberg e soci sono in trattative con alcune delle testate più influenti per ospitare i contenuti direttamente sulla piattaforma

Hai questa strana (e lodevole) abitudine di passare la prima mezz’ora della giornata a scandagliare il web alla ricerca di articoli interessanti, è un po’ il tuo modo di sostituire in ufficio il giornale e caffè della domenica mattina, il problema è che questo processo ti porta via un sacco di tempo, devi saltare da una testata all’altra, aspettare che una dozzina di siti web carichino la loro homepage, e poi setacciare i vari canali per trovare il contenuto che faccia al caso tuo.

Una delle promesse del web 3.0 è quella di trasformare l’utente da rabdomante di contenuti a ricevitore semi-passivo. Il primo tentativo per ottenere questo risultato è rappresentato dai discovery engine, una sorta di evoluzione dei motori di ricerca che, a partire dalle informazioni sensibili su un utente, sono in grado di capire quali contenuti potrebbero maggiormente interessarlo e servirglieli prima ancora che a lui venga in mente di cercarli.

In attesa che questo orizzonte si avvicini, Facebook sembra aver trovato una soluzione temporanea che naturalmente, oltre ad aiutare quelli come te setacciare più in fretta i contenuti online, consentirebbe a Mark Zuckerberg e soci di guadagnare ancora più utenti e valore di mercato.

È notizia di queste ore che il social network più popolato di sempre da qualche mese starebbe trattando con alcune delle più importanti testate giornalistiche (che spaziano da quotidiani come il New York Times, a riviste come il National Geographic, a portali come Buzzfeed) per far sì che i loro contenuti sia fruibili direttamente su Facebook, e che siano quindi immediatamente raggiungibili dai 1,4 miliardi di utenti che bazzicano la piattaforma.

I vantaggi che Facebook trarrebbe da una simile operazione sono chiari: gli utenti avrebbero un motivo in più per non abbandonare il social network, inoltre fornirebbero ancora più dati sensibili sui propri interessi e i propri gusti, creando ancora più occasioni di monetizzazione pubblicitaria per la piattaforma social.

Meno chiaro è quale interesse potrebbe avere per questo accordo una testata come il New York Times, che già ha sviluppato un sistema per gestire i propri utenti, per conoscerne le inclinazioni e, in alcuni casi, per fare pagare loro una quota di lettura. La questione ha a che fare con il passaggio, sempre più deciso, dalla fruizione desktop a quella mobile: gli utenti smartphone e tablet sono abituati a una interazione più immediata con il contenuto e, secondo gli analisti, la manciata di millisecondi in più che richiede il passaggio da Facebook all’homepage di una testata online potrebbero fare la differenza.

Se l’accordo con Facebook andasse in porto, quotidiani e riviste dovrebbero accettare che i propri contenuti siano raggiungibili non solo su sito della testata ma anche direttamente su Facebook. Il che da un lato permetterebbe a queste testate di raggiungere un serbatoio d’utenti molto più vasto e differenziato, dall’altro sottrarrebbe loro parte del controllo che attualmente hanno sui dati sensibili degli utenti e sugli introiti pubblicitari derivanti da ogni articolo (su cui Facebook potrebbe chiedere una quota).

Esiste la possibilità che colossi come il New York Times, Quartz e l’Huffington Post decidano di rifilare a Facebook un sonoro due di picche, ma considerando quante persone scrollano il News Feed di Facebook ogni giorno, a tenere il coltello dalla parte del manico sembra essere Mark Zuckerberg. Dopotutto, già in passato Facebook ha dimostrato di saper creare corsie preferenziali per alcuni contenuti (è il caso dei video postati direttamente sulla piattaforma, che vengono riprodotti in automatico), è perciò possibile che Facebook deciderà di riservare maggiore visibilità ai contenuti delle testate che firmeranno l’accordo, rispetto alle altre.

Il solco, insomma, sembra già tracciato; alle testate web non rimane che farsi i conti in tasca, e magari pensare a come fare cartello per esigere che i proventi pubblicitari, almeno quelli, confluiscano per la maggior parte nelle loro tasche.

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Fabio Deotto