Ecco come Facebook trasforma le nostre emozioni in soldi
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Social network

Ecco come Facebook trasforma le nostre emozioni in soldi

L'arrivo degli emoji di Reactions è la prova definitiva che Facebook non introdurrà mai un tasto Non mi piace. Perché? Non aiuta a vendere

Sono anni che l'utenza Facebook chiede a gran voce l'introduzione del pulsante Non mi piace, probabilmente hanno cominciato a esigerla fin dall'introduzione del Mi piace. Aveva senso: se posso esprimere un parere favorevole a un contenuto, perché non poterne esprimere uno sfavorevole? Per anni Facebook ha giocato a rimpiattino con la stampa, annunciando a mezza bocca l'arrivo di un tasto Dislike, lasciando trapelare informazioni che erano fumo negli occhi utile a guadagnare tempo; poi, settimana scorsa Zuckerberg ha presentato al mondo Reactions, un'evoluzione del tasto Like in forma di sette diverse emoji. A quel punto quello che da tempo sospettavo è diventato palese: Facebook non vuole (e mai vorrà) introdurre un vero tasto Non mi piace.

Per capire perché è sufficiente considerare che, nonostante i continui proclami d'amore verso l'utenza, nonostante a ogni conferenza i pezzi da novanta spergiurino che il loro interesse primario è la soddisfazione dell'utenza, Facebook non è esattamente una piattaforma social: è prima di tutto un negozio. Un negozio molto particolare, in cui noi, gli utenti, siamo allo stesso tempo merce e clienti.

È così da sempre: Facebook non ha altra fonte di introiti che non siano i nostri dati sensibili, il suo obiettivo principale è raccogliere il maggior numero di informazioni su di noi, per poi venderle a inserzionisti pubblicitari come utili coordinate per scoccare offerte e pubblicità personalizzate. In parole povere: ogni click, ogni commento, ogni Mi piace che lasciate su Facebook, è per il social network una merce preziosa che può rivendere agli inserzionisti, che poi cercherà di vendervi prodotti (o servizi) reali.

Se guardiamo a Facebook come a un enorme negozio virtuale, allora diventa chiaro perché un pulsante Non mi piace venga bandito: immaginate di andare in un grande supermercato e di trovare, sotto al prezzo di ogni articolo, una serie di numeri che indicano quante persone l'hanno apprezzato e quante invece lo considerino spazzatura. Magari i clienti sarebbero contenti di potersi orientare meglio negli acquisti, ma i produttori di quegli articoli non avranno interesse a esporre i propri prodotti in un negozio che potrebbe esporli al pubblico ludibrio.

Se ci fate caso, tra gli emoji introdotti con Reactions (Mi piace, Love, Haha, Wow, Yay, Arrabbiato e Triste) non c'è un equivalente del tanto auspicato Non mi piace; anche Arrabbiato e Triste non suggeriscono una critica al contenuto, quanto un'emozione evocata da quel contenuto.

Le ricerche condotte dal Compassion Research Team, una squadra di neuroscienziati, sociologi e psicologi assoldata da Facebook per “promuovere rapporti empatici tra gli utenti”, hanno dimostrato che, quando gli viene data la possibilità di esprimere un'opinione di tipo emotivo, gli utenti sono più inclini a fornire il proprio contributo. Questo accadeva prevalentemente quando una persona chiedeva la rimozione di un tag o di un contenuto: se Facebook chiedeva di spiegare il motivo di quella scelta, solo il 50% tendeva a rispondere; se invece venivano fornite delle coordinate emotive (ad es: “questo contenuto mi crea imbarazzo”), la percentuale saliva al 78%.

Facebook ha tutto l'interesse ad aumentare il numero di interazioni tra i suoi utenti, e Reactions è uno strumento efficace per farlo. Ma il vero motivo per cui gli emoji di Reactions potrebbero giovare a Facebook è che, inducendo i suoi utenti ad esprimere più frequentemente la propria opinione, e fornendo una griglia per diversificare questa opinione, di fatto il social network sta apparecchiando un set di dati sensibiliancora piùappetibile per gli inserzionisti e, nel contempo, sta fornendo ai brand che utilizzano Facebook per tenersi in contatto con i propri clienti un sistema per velocizzare ed estendere le proprie ricerche di mercato.

Gli americani chiamerebbero questa situazione “win win”, ossia: “tutti vincono”; e con “tutti” intendo ovviamente Facebook e chi utilizza Facebook per guadagnare soldi. E noi semplici utenti? Beh, l'abbiamo detto: noi siamo sia merce che acquirenti. Perciò, prima di lasciarci prendere dalla mania dei nuovi emoji Reactions, prendiamoci un istante per riflettere su chi potrebbe beneficiare dell'ennesima informazione su personale che stiamo per condividere.

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Fabio Deotto