David-Marcus-apertura
Tecnologia

David Marcus, così parleremo con i robot

L'intervista esclusiva di Panorama al capo mondiale di Facebook Messenger. Che traccia le frontiere di un servizio da quasi un miliardo di utenti

da Parigi

Metti una sera a cena a casa Zuckerberg: atmosfera cordiale, chiacchiere assortite, salmone fumante dentro il piatto. David Marcus sta per assaggiarlo, però rimane a bocca aperta: il fondatore di Facebook gli chiede di lavorare per lui. Di abbandonare il timone di PayPal, la corazzata dei pagamenti on line con 15 mila dipendenti, per guidare la chat Messenger, un’utilitaria con nemmeno 100 addetti a bordo. È il maggio del 2014, la risposta, senza esitazioni, un sì: «Nell’ottica di una carriera standard, può sembrare un passo indietro. Ma da sempre amo costruire cose che impattino sulla vita delle persone. Per me, non c’era opportunità migliore» racconta Marcus in un’intervista esclusiva a Panorama.

Lo incontriamo nella labirintica sede parigina del social network, a dieci minuti dal teatro Opéra. Camicia bianca su pantaloni blu, scarpe marrone chiaro di gran gusto («italiane» precisa), modi cordiali e sguardo sicuro, Marcus è forte dei numeri di un successo: dal suo arrivo gli utenti mensili del servizio sono più che triplicati e sfiorano il miliardo di persone. I messaggi di testo con le immancabili faccine si sono arricchiti di telefonate vocali, videochiamate, videogame, possibilità, per ora negli Stati Uniti, di scambiare denaro con gli amici. Soprattutto, Messenger è diventato il laboratorio del futuro di Facebook. Integra un esercito di 11 mila bot capaci di interpretare le esigenze degli iscritti: forniscono le previsioni del tempo, aggiornano sulle ultime notizie, cambiano il posto a sedere su un volo, acquistano oggetti, li spediscono a domicilio. Via chat. Basta scrivere con un linguaggio colloquiale: capiscono (con qualche incertezza, al momento) ed eseguono.

David-Marcus-dentroDavid Marcus al lavoro nella sede di FacebookFacebook

È un’evoluzione davvero necessaria? Non sono duplicazioni dei siti web, dei programmi per gli smartphone, del caro vecchio telefono?

Si scaricano sempre meno applicazioni, nessuno ama chiamare una compagnia. È un processo lungo, snervante. Volevamo reinventare le interazioni di ogni giorno; creare una piattaforma con un’identità persistente, che non ci chieda tutte le volte di inserire i nostri dati, che mantenga e faccia tesoro dalle conversazioni precedenti.

L’intelligenza artificiale è già tanto capace e capiente?

Abbiamo optato per un approccio misto. Quando la macchina inciampa, l’intervento umano provvede ad aggiustare il tiro. È essenziale per rispondere a un vasto raggio di domande.

Non crede che le persone possano essere intimorite, scoraggiate, dall’idea di dialogare con un robot?

Penso che a noi piaccia intellettualizzare tali dinamiche. Quando si guida un’automobile, è raro interrogarsi su come lavora il motore. Ci interessa essere portati a destinazione. La gente si aspetta un servizio che funzioni, importa poco il modo.

Pur non essendo onniscienti, questi strumenti maneggiano comunque moltissimi nostri dati. Almeno ha senso preoccuparsi per la propria privacy?

Posso rispondere con un aneddoto che non ho mai raccontato prima?

Prego.

Quando abbiamo avviato alcuni test con l’intelligenza artificiale per la prenotazione dei biglietti dei concerti, i partecipanti si sentivano domandare dal sistema quali fossero i loro gruppi preferiti. Ed erano infastiditi: davano per scontato che noi conoscessimo i nomi delle loro band del cuore tramite Facebook. Rispondevano: «Guarda il mio account». Ma noi non avevamo acquisito di proposito quelle informazioni per non invadere uno spazio privato.

Morale della storia?     

Gli utenti si preoccupano se non capiscono come vengono usati i dati. Quando non ottengono niente di utile in cambio.

"Quando si guida un’automobile, è raro interrogarsi su come lavora il motore. Ci interessa essere portati a destinazione. La gente si aspetta un servizio che funzioni, importa poco il modo"

Un’altra applicazione della galassia Facebook è WhatsApp. Vi fate concorrenza a vicenda?

Abbiamo un vantaggio: non ci basiamo sui numeri di cellulare (a differenza di WhatsApp, ndr), ma sulle identità reali delle persone. Sui nomi e sui cognomi. Siamo il più grande e vivo elenco telefonico del mondo, in grado di aggiornarsi da solo. La prova che non occorre una serie casuale di cifre per identificare e contattare qualcuno. È un’evoluzione, una transizione che sta lentamente avvenendo.

I modi di comunicare, invece, restano grosso modo gli stessi. Anzi, sembra di essere tornati indietro nel tempo. Dai messaggi scritti alla seconda giovinezza delle telefonate, seppure via internet, magari di gruppo.

I messaggi sono istantanei, veloci, affidabili. Ma una conversazione faccia a faccia permette di passarsi un enorme ventaglio di emozioni che è impossibile replicare solo con i testi. Perciò, con la diffusione della banda larga, la voce, le foto, le clip animate, le videochiamate, sono diventati prodotti di successo, amati dal pubblico.

Rimpiange mai la poltrona dorata di PayPal?

Gestire una grande organizzazione dà enormi soddisfazioni, ma è faticoso. Volevo tornare a una dimensione più immediata. Rilasciamo una versione di Messenger ogni settimana. Da quando hai un’idea al momento in cui la trasformi in realtà, trascorre pochissimo tempo.

Lei finanzia alcune start-up. Come le sceglie?

Guardo all’indole della persona che si propone. Ovvio, mi deve piacere l’idea che c’è dietro, ma cerco un’intesa con l’imprenditore. Ho bisogno di credere che possa davvero adattarsi alle circostanze.

Creare un’azienda da zero è diventata una moda tra le nuove generazioni, oltre che un’esigenza. Quanto è complesso arrivare fino in fondo?

È qualcosa che non si può insegnare. Se sei pronto a oscillare tra bassi frequenti e qualche sporadico alto, se riesci a non farti disgustare dal fatto che tutto quello che hai pianificato non andrà come immaginavi, alla fine magari fallirai una volta o due, ma ricomincerai e ce la farai.

Lei è sempre connesso?

Ammetto di non essere bravo a staccare. Comunque, in famiglia abbiamo una regola: a cena, a tavola, non sono ammessi smartphone. È difficile anche per me. Funziona.     

Com’è lavorare con Mark Zuckerberg?

Lo ritengo un affascinante visionario con uno spiccato senso pratico. È presente, però lascia spazio. Parliamo di continuo.

Di persona o al telefono?

Su Messenger, naturalmente.

I più letti

avatar-icon

Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

Read More