Telefonino Sapiens. I suoi primi 40 anni
Tecnologia

Telefonino Sapiens. I suoi primi 40 anni

Non è solo una questione di tecnologia, il cellulare ha cambiato la nostra vita: da status symbol è diventato uno strumento di lavoro e di relazione. Irrinunciabile

di Guido Castellano e Marco Morello

La storia comincia nell’unica maniera possibile: con una telefonata. È il 3 aprile 1973 quando Martin Cooper della Motorola, sulla avenue of the Americas di New York, porta a termine la prima chiamata da un cellulare.

L’apparecchio pesa più di 1 chilo, ha una batteria che dura 30 minuti, ma per quanto ingombrante è l’indiscutibile portabandiera di una rivoluzione: abbatte la tirannia del filo, «offre il privilegio della scelta, dà la libertà di comunicare ovunque, rende il telefono privato e personale», come sottolinea lo stesso Cooper.

Da quel giorno sono passati quarant’anni, 30 dall’approdo sul mercato del primo modello commerciale noto a tutti come il «mattone», soprannome poco gentile ma calzante per la sua stazza generosa; oggi i telefonini, a cominciare dall’ultimo arrivato, l’attesissimo Galaxy S4della Samsung (che si può persino comandare con gli occhi), hanno forme aggraziate, peso contenuto, un’autonomia ben maggiore e centinaia di funzioni ed effetti speciali di serie. Hanno reso superflue le linee fisse, condannato all’abbandono o addirittura alla rottamazione le cabine pubbliche.

Soprattutto, sono diventati un oggetto necessario, fondamentale, irrinunciabile. Superando i capricci della moda. Secondo gli ultimi dati Itu, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, i contratti per utenze mobili hanno toccato quota 6,8 miliardi a fronte di una popolazione di 7,1 miliardi.

Quasi una per ogni abitante della Terra: «un miracolo mobile», per usare le parole del direttore dell’Itu a commento di statistiche nemmeno troppo sorprendenti visto il decollo del trend negli ultimi anni. Certo, non significa che tutti possiedono un telefonino, almeno non ancora: in tanti casi un utente ha due o tre contratti a suo nome, ma il boom è evidente. Ed è confermato da un’ulteriore statistica: solo nel 2012 sono stati venduti nel mondo oltre 1,6 miliardi di dispositivi tra cui, come rileva la GfK, 720 milioni di smartphone, con un aumento del 56 per cento rispetto al 2011.

È l’approdo coerente, lo sbocco di un lungo cammino: i cellulari si sono trasformati in computer tascabili. Non sarà sorprendente per le nuove generazioni, abituate ad avere con sé un oggetto che gira video, naviga su internet, risponde a delle domande dandoci del tu e fornisce indicazioni stradali. Ma lo è per chi è stato testimone dell’evoluzione progressiva del settore: dal segnale debole del Gsm ai muscoli del 3G, dalla tastiera al touch.

Un’onda mobile, per riprendere il titolo di The mobile wave di Michael Saylor, libro inserito tra i best-seller del New York Times in cui si preconizza la centralità crescente dei telefonini: nei pagamenti al posto del contante come nell’istruzione di alto profilo, fino al dialogo con gli elementi della vita quotidiana. Inclusa una comunicazione bilaterale con i prodotti alimentari (provenienza, scadenza) o addirittura con gli animali (lettura di collari elettronici, controllo a distanza). Fantascienza?

«È facile» scrive Saylor «cadere nella trappola di dare per scontato che una nuova tecnologia sia simile alla precedente, che ubbidisca alle stesse regole solo in maniera un po’ più veloce, o più piccola, o più leggera». Secondo l’autore, il «mobile computing avrà delle conseguenze davvero dirompenti». In altre parole, il meglio deve ancora venire.

E forse faremmo bene a crederci, vista l’ambizione smisurata e spietata dei cellulari, che in pochi anni hanno cannibalizzato tutto il possibile, massacrando il mercato dei lettori di musica, schiacciando quello delle fotocamere di fascia non professionale, picconando con forza su quegli antagonisti di cui sono i naturali succedanei: i computer. Che soffrono tremendamente la concorrenza e non smettono di perdere colpi: solo nell’ultimo trimestre del 2012, riporta l’agenzia specializata Gartner, ne sono stati venduti il 4,9 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2011.

E il calo non è più l’eccezione, ma la regola. In compenso gli smartphone hanno creato un indotto e nuovi posti di lavoro contribuendo a costruire mestieri inediti, come lo sviluppatore di applicazioni. Un mercato che solo nel 2012 valeva 8 miliardi di dollari e che ha permesso a molti di mettere a frutto la propria creatività. Ieri il business era appannaggio esclusivo dei costruttori di apparecchi, oggi l’industria dei contenuti fiorisce e si ramifica in tanti rivoli.

La storia dei cellulari può essere letta da tante prospettive. Quella estetica: un percorso di forme sempre meno tozze e più aggraziate, una fisarmonica di schermi prima quasi assenti, poi piccoli, poi grandi, per un periodo di nuovo piccoli però a colori, ora di dimensioni notevoli e ad alta definizione. Quella funzionale, per accumulazione, diversificazione, complessità. Quella, cruciale, di alfabetizzazione informatica: in alcuni paesi del mondo e per alcune fasce di popolazione sono il primo dispositivo elettronico, la chiave per uscire dai confini di una vita analogica.

Ma è imprescindibile dare al fenomeno una chiave di lettura anche economica e una collocazione geografica: i protagonisti della prima ondata della rivoluzione mobile sono stati senza dubbio l’Europa e gli Stati Uniti. Con in prima fila l’americana Motorola e la finlandese Nokia che hanno prodotto modelli iconici, di massa, alzando via via l’asticella dell’innovazione.

Ora la scena sta cambiando: esclusa la Apple, che comunque se la batte da sempre con un modello soltanto, il focus è altrove. Al momento stravince la coreana Samsung (30,3 per cento di quota di mercato nel 2012 secondo Idc), ma avanzano spediti nuovi attori, tutti cinesi. Zte e Huawei sono entrambi sicuri che strapperanno la corona di primi della classe. «Nel lungo termine vogliamo diventare i leader puntando sulla qualità dei materiali, su investimenti significativi in ricerca e sviluppo, grazie all’internalizzazione di tutto il processo produttivo» spiega Roberto Loiola, vicepresidente per l’Europa occidentale della Huawei. Mentre altri protagonisti sgomitano e si fanno avanti.

La Lenovo, superpotenza nel mondo dei pc, guarda a quello mobile con enorme interesse: «Siamo già fortissimi in Cina, abbiamo intenzione di espanderci portando i nostri smartphone nei mercati emergenti che stanno crescendo a ritmi vertiginosi» dice a Panorama Yang Yuanqing, ceo dell’azienda. La ricetta, che suona come un guanto di sfida, è ripetuta come un mantra: «Produrre tutto da soli, a costi competitivi, bilanciando al meglio innovazione ed efficienza».

A proposito di vittorie attuali, potenziali e prossime, la più grande, quella che conta, i telefonini l’hanno avuta nel costume, in Italia come nel resto del mondo.

Nel 1992 usciva una canzone degli 883 con queste strofe: «Hai comprato pure il cellulare/ da tua madre ti fai chiamare/ per far finta di essere uno importante». Il giudizio, impietoso, era nel titolo: «6/1/Sfigato». Oggi chi ha l’ultimo modello lo esibisce con orgoglio, come uno status symbol. Non a caso, rimanendo nel campo della musica, ai primi posti in classifica c’è Scream & Shout, in cui il cantante Will.I.Am detta tendenza sfoggiando la linea di accessori glamour per iPhone da lui creata. Mentre chi può permetterselo va oltre, non si limita agli accessori e sceglie modelli fatti a mano, da diverse migliaia di euro. È il segno che anche il mercato del lusso non guarda più con diffidenza ai cellulari, ma li ha sdoganati come elementi di stile alla pari di gioielli e orologi.

Oggetti belli e pure muti. Ora la voce non è più la protagonista incontrastata, è stata soppiantata dalla messaggistica istantanea. Se ne sono accorte anche le compagnie telefoniche, che iniziano a offrire pacchetti con sms e trasferimento dati illimitato; ce ne accorgiamo facilmente andando per strada, negli uffici oppure sui mezzi pubblici: tutti sono chini a picchiettare con le dita sul loro telefonino. Al punto che se oggi, quarant’anni dopo, Martin Cooper dovesse celebrare le meraviglie della rete mobile, è molto probabile che non farebbe un’altra telefonata. Piuttosto scriverebbe «tanti auguri» su WhatsApp.

Leggi Panorama on line

I più letti

avatar-icon

Panorama