Galaxy Gear
Roberto Catania
Tecnologia

Samsung Galaxy Gear, la nostra prova: cosa ci ha convinto e cosa no

Abbiamo provato in anteprima il nuovo smartwatch di Samsung, in uscita in Italia il 25 settembre. Ecco il nostro verdetto, tra perplessità confermate e sorprese inattese

L’abbiamo provato, in anteprima. Lo abbiamo allacciato al polso e ci abbiamo giocherellato per quasi un’ora. Abbiamo scattato foto, girato filmati, effettuato chiamate e impartito comandi vocali. Abbiamo giocato a fare gli agenti segreti, comunicando da due stanze differenti tenendo il polso all’altezza dell’orecchio. Abbiamo certificato con i nostri occhi la definizione del display Super AMOLED. Ora possiamo dirlo con cognizione di causa: il Samsung Galaxy Gear è un accessorio carino, in alcuni casi persino piuttosto utile ma, almeno per il momento, difficilmente riuscirà a imporsi in pianta stabile nella nostra vita di tutti i giorni.

Ma bando alle ciance, parliamo della prova.

3 cose che ci hanno convinto:

La fotocamera
Finché non l’ho provata non ci volevo credere, eppure avere una fotocamera sul polso può risultare decisamente utile, oltre che divertente. Metti che hai bisogno di fare uno scatto in velocità e non hai tempo di cavar di tasca il tuo Galaxy Note, metti che vuoi riprendere qualcosa senza farti notare: bastano due colpi di dita e hai fatto. Il fatto di avere a disposizione uno schermo Super AMOLED, inoltre, consente di controllare la qualità dell’immagine prima di trasferirla al dispositivo accoppiato. Se non hai velleità da fotografo, ma vuoi comunque poter immortalare quello che vuoi quando ti pare, Gear è perfetto. In futuro, la fotocamera potrà essere impiegata per altri utilizzi, “Ad esempio” spiegano da Samsung “per aiutare gli utenti ipovedenti a individuare i colori dei vestiti.” Certo, messa lì, sul cinturino, rischia di prendere botte letali, ma basta avere un po’ di accortezza (dopotutto, ciccio, ti sei messo al polso 300 euro di gingillo, meglio che fai attenzione)

La batteria
Durante la conferenza stampa si era parlato di 25 ore di autonomia, e in molti avevano storto il naso. “In realtà” spiega Paolo Castellini, Product Manager di Samsung Italia “si intendono 25 ore di utilizzo continuo e intensivo. Con un utilizzo normale, la batteria può durare più di 50 ore.” Se questo dato corrisponde a verità, la questione cambia. 50 ore consentono di caricare il Gear in modo discontinuo rispetto allo smartphone con cui è accoppiato. Certo, siamo ancora lontani da un’autonomia di 5/7 giorni, come quella vantata da Pebble (che ha un display e-ink), ma è comunque un buon punto di partenza.

L’aspetto
Pensavamo di trovarci di fronte a un carrarmato di metallo e plastica, e invece Gear ha l’aspetto di un normale orologio. Il cinturino è comodo e resistente. Il touchscreen risponde in maniera fluida ai comandi e presenta una definzione e una ricchezza di colori che non ti aspetteresti di trovare su uno smartwatch. Inoltre, esistono un’infinità di modi per customizzare il quadrante, in modo da illudersi di aver comprato un orologio unico nel suo genere. Il cinturino, purtroppo, non è intercambiabile. Se speravi in un sostituto di cuoio, rassegnati.

3 cose che continuano a non convincerci:
 
Le telefonate
Schiacci due volte il tasto laterale, dici “Chiama Tizio” e nel giro di qualche istante, attraverso il sistema S-Voice, Gear capisce che deve far partire una chiamata. Quando Tizio risponde, ti porti il polso all’orecchio e parli. Messa così, sembra roba da 007. In realtà, la funzionalità di chiamata ci ha un pochino deluso. La qualità dell’audio, per chi chiama col Gear e per chi riceve con un normale telefono, è paragonabile a quella di un vivavoce da auto. La voce di chi parla viene leggermente distorta e gonfiata, pur rimanendo comprensibile. Si fatica tuttavia a capire l’utilità di questa funzionalità. Certo, se stai guidando puoi rispondere al telefono senza toglierlo di tasca, ma per parlare dovrai comunque portare una mano all’orecchio, e a quel punto il problema rimane.

La compatibilità ridotta
Almeno per le prime settimane, Gear sarà compatibile solo ed esclusivamente con il nuovo Galaxy Note 3. Dai piani alti Samsung assicurano che entro Natale la compatibilità verrà estesa anche a Galaxy S3, S4 e Note 2, comunque sia quello che è chiaro è che Gear è un accessorio per soli utenti Samsung. Ci si aspetterebbe dunque una compatibilità pressapoco perfetta tra i dispositivi, purtroppo non è così. Durante la prova abbiamo connesso tramite bluetooth 4.0 il Galaxy Gear al Galaxy Note 3 e il dialogo non è stato esattamente pacifico. In diverse occasioni lo smartwatch ha perso l’accoppiamento ed è stato necessario ricollegarlo, e in alcuni casi messaggi e notifiche sono arrivati con un certo ritardo. È sicuramente un problema risolvibile, che dovrebbe scomparire nei primi aggiornamenti, ma per ora il verdetto, da questo punto di vista, è tutt’altro che ottimale.

Da solo serve a poco
Samsung non ha mai cercato di nasconderlo: Gear non è un sostituto dello smartphone, è soloun accessorio. Un accessorio da 300 euro, è il caso di ricordarlo. Come dispositivo second-screen Gear è un prodotto sicuramente interessante, se però si considera il suo prezzo, cominciano a sorgere un poco di perplessità. A che scopo alleggerirsi così tanto le tasche per un accessorio? Per scattare foto e video in scioltezza? Per leggere mail e notifiche a cui poi è comunque complicato rispondere? Per bullarsene con gli amici all’aperitivo? Per ora Galaxy Gear vanta una compatibilità con più di 70 app, l’unica cosa per cui però sembra indispensabile sono quelle per la corsa e il self-tracking. Sicuramente i margini di evoluzione sono amplissimi, e di qui a qualche mese le funzionalità di Gear si faranno più incisive.

Al momento, Samsung Galaxy Gear appare come un accessorio di lusso per utenti Samsung, particolarmente indicato per i maniaci del self-tracking. Per avere invece un dispositivo che possa ambire a porsi sullo stesso piano di smartphone e tablet, come qualcuno continua a voler preconizzare, pare ci sarà aspettare.

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Fabio Deotto