Facebook e altre app mobile, quanto saresti disposto a pagare per un po’ di privacy?
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Tecnologia

Facebook e altre app mobile, quanto saresti disposto a pagare per un po’ di privacy?

Uno studio dimostra che l'utente medio sarebbe disposto a spendere anche 5 dollari per app, pur di sbarazzarsi degli ad pubblicitari e sapere che i suoi dati sono al sicuro

Esistono teoremi che ci vengono comunemente spacciati per verità, e che noi, puntualmente, deglutiamo per riflesso condizionato. Uno di questi dice che gli utenti sono in massima parte felici di condividere secchiate di dati personali in cambio di servizi “gratuiti” come app, piattaforme social, mappe e motori di ricerca.

Finora, l’abbiamo dato per scontato quasi fosse un assioma: se così tante persone scaricano app gratuite e si iscrivono a Facebook, significa che sono ben contenti di barattare la propria intimità digitale per un biglietto di prima classe nel web 2.0. Ogni tanto qualcuno ci ha provato a far notare che probabilmente gran parte di quelle persone non si rende nemmeno conto di quanto i propri metadati possano raccontare di loro, anzi molti nemmeno sanno cosa sia, un metadato .

A squarciare questo sottile velo di Maya è intervenuto un certo Edward Snowden , e da un giorno all’altro, come in alcuni incubi ricorrenti, molti si sono ritrovati nudi in mezzo a una classe di persone che li guardavano insistentemente. E allora, le cose hanno cominciato a cambiare, quello che fino a qualche mese fa veniva preso come assioma, ora vacilla pesantemente sotto i colpi del nuovo vento.

Uno studio condotto presso la University of Colorado dimostra che, se gli fosse data la possibilità di scegliere tra un’app a pagamento che tuteli le varie sfaccettature della privacy e una gratuita che però faccia incetta di dati sensibili, molti utenti propenderebbero per la prima alternativa. I responsabili dello studio, Scott J. Savage e Donald M. Waldman hanno interpellato 1.700 utenti smartphone, sottoponendo loro una serie di app. Tra queste, una sola era una app reale, disponibile sugli store di iTunes e Google Play e gratuita, le altre cinque erano sostanzialmente applicazioni identiche alla prima, ma offrivano differenti livelli di privacy a seconda del prezzo.

Quello che Savage e Waldman hanno scoperto è che in generale gli utenti sono ben disposti a spendere qualcosa in più per tenersi stretti i propri dati. Nello specifico:

- Erano disposti a spendere in media 1,19 dollari per un’app che non tenesse traccia della loro geolocalizzazione
- Erano disposti a spendere in media 1,75 dollari per una che non registrasse il proprio numero di cellulare.
- 2,12 dollari per una versione dell’app priva di pubblicità
- 2,28dollari per una che non andasse a setacciare la loro cronologia di navigazione
- 3,58 per impedire che l’app avesse accesso ai contenuti dei propri messaggi
- 4,05 per un’app che non avesse accesso ai loro contatti.

Sulla base di questi risultati – e dei dati relativi all’intrusività delle app in circolazione – Savage e Waldman hanno calcolato che un prezzo efficace per un’app che non invada la privacy né offra pubblicità si aggirerebbe attorno ai 5 dollari, una cifra ben superiore all’introito medio stimato per ogni download. Operando un calcolo piuttosto azzardato, i due ricercatori ritengono che la mancanza di una simile offerta tagli fuori un potenziale mercato da 16 miliardi di dollari.

Che si voglia o meno credere alle stime di Savage e Waldman, il loro studio dimostra un dato piuttosto importante: l’utente medio è tendenzialmente disinformato. Non è al corrente di quanto costino, in termini di privacy ed esposizione alla pubblicità, le app che scarica gratuitamente ogni giorno. Ed è forse per questo che un’alternativa come quella proposta dai due ricercatori ancora non esiste: come reagirebbe, del resto, l’utente medio se gli venisse spiegato come e quanto isuoi dati vengono utilizzati da chi offre servizi mobile? Quelli che non intendono pagare per avere app magari scaricherebbero molto di meno, e non è detto che l’utenza rimanente continui a fidarsi delle condizioni d’uso garantite dagli sviluppatori.

 

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Fabio Deotto