Come finirà la grande guerra delle telefonate in aereo
Thinkstock by Getty Images
Tecnologia

Come finirà la grande guerra delle telefonate in aereo

Le compagnie vogliono scegliere se fornire il servizio, gli Usa potrebbero vietarlo, i passeggeri oscillano tra desiderio di quiete e connettività

Gli attori in scena sono tanti: passeggeri, compagnie, operatori, governi. La posta in gioco, parecchio alta: costruire un nuovo business tra le nuvole, sacrificando o almeno scalfendo la quiete a bordo già minacciata in svariati modi, o strozzarlo sul nascere a suon di decreti. Se vogliamo, è il riproporsi del vecchissimo braccio di ferro tra la mano pubblica e l’iniziativa privata, allergica a ogni attentato alla sua libertà, a qualsiasi tentativo di impedirle di determinarsi da sola.

I fatti: telefonare in aereo non è più un sogno proibito, un lusso per ricconi e uomini d'affari che viaggiano su jet privati. I dati diffusi a fine luglio dalla AeroMobile, compagnia di riferimento nel fornire queste tecnologie, riferiscono di 245 bestioni del cielo di 13 aziende leader dell’aria come Qatar Airways, Emirates, Etihad, Virgin Atlantic già operative, già equipaggiate a dovere. Il 30 per cento in più rispetto a inizio anno. Parliamo di 430 voli al giorno da cui è possibile navigare in internet, mandare sms, chattare su WhatsApp e, appunto, effettuare e ricevere chiamate. Non a costi proibitivi, ma come se ci si trovasse all’estero. Senza carte di credito da inserire o gravosi abbonamenti da sottoscrivere, bensì passando dal proprio operatore. Ben 260 di 150 Paesi del mondo hanno aderito. E parliamo di giganti come T-Mobile, Vodafone e affini.

Di più: l’opportunità di attrezzare le cabine per il traffico voce e dati, comincia a ingolosire gli operatori medesimi, che potrebbero siglare accordi diretti con le singole compagnie o con i grandi network che le raccolgono, da SkyTeam a Star Alliance, per un servizio ancora più efficiente o, comunque, personalizzato. Insomma, non sembrano esserci dubbi: ci aspetta un futuro ricco di conversazioni in quota, di connettività costante interrotta giusto durante le brevi fasi di atterraggio e decollo. Una mezzora in tutto o poco più. Non ci sono preclusioni in tal senso nei Paesi asiatici, a novembre dell’anno scorso la Commissione Europea ha detto sì all’uso della rete 3G e 4G sopra i tremila metri, solo gli Stati Uniti per ora nicchiano e, ecco la novità, coltivano abbondanti dubbi.

Secondo quanto pubblicato dal Wall Street Journal, il dipartimento dei Trasporti Usa starebbe valutando l’ipotesi di vietare senza appello le chiamate in cielo. Starebbe lavorando a un regolamento da proporre entro dicembre che, se approvato, potrebbe imporre il coprifuoco telefonico. Sì dunque a chat, sms, mail; no, mai e poi mai, a conversazioni classiche o via Skype e affini. Almeno quando si attraversa il territorio su cui batte bandiera a stelle e strisce. Il motivo? Il più logico: preservare la quiete dei passeggeri già messa a dura prova da bambini che piangono, vicini troppo loquaci, rumori vari ed eventuali. In pratica, prevenire il caos o la sua ennesima degenerazione.

Una decisione, per ora nemmeno sulla carta ma che ronza nella mente dei burocrati dell’amministrazione Obama e che ha creato fermento e disappunto tra le compagnie. Le quali reclamano il diritto di poter decidere da sole cosa è meglio per i loro clienti. Vogliono la libertà di offrire questo servizio o vietarlo, se pensano che possa danneggiarle. Lufthansa, giusto per fare un esempio celebre del network di AeroMobile, consente la navigazione sul web, ma esclude a priori le telefonate.

A preoccupare le aziende del cielo, è evidente, è un quadro frammentato, incerto, zoppo. Se passasse il regolamento, in un volo da Roma a Los Angeles si potrebbe telefonare solo finché non si raggiunge lo spazio aereo americano. Poi, zitti tutti. La controproposta, l’idea allo studio, è attrezzare le cabine con spazi ad hoc in cui è tassativo il mutismo tecnologico, un po’ come le aree silenzio dei treni ad alta velocità. O, all’opposto, salottini o gruppi di sedili separati dagli altri, in cui dar sfogo alla propria verbosità per fissare una riunione o semplicemente continuare a spettegolare con gli amici.

Già oggi la tecnologia, ricorda AeroMobile, dà la possibilità agli assistenti di volo di disattivare in qualsiasi momento il servizio, per esempio quando si passa in assetto notturno e si spengono le luci. Inoltre, l’ampiezza di banda attuale dà modo di iniziare e condurre al massimo una dozzina di telefonate in contemporanea, dunque uno scenario in cui centinaia di passeggeri sussurrano o sbraitano tutti insieme nello smartphone, non è al momento pensabile. Altro tassello che completa il puzzle, la durata media delle chiamate si aggira intorno ai due minuti: un po’ perché costano (siamo tra un euro e tre euro ogni sessanta secondi), un po’ perché è evidente che i nostri vicini di posto possano ascoltare dall’inizio alla fine quello che stiamo dicendo.

D'altronde lo stesso dipartimento dei Trasporti americano, in una nota inviata al Wall Street Journal, si è affrettato a far sapere che il regolamento è un work in progress e che non è stato ancora deciso se conterrà il divieto assoluto delle chiamate. Una prima versione dell’articolo diceva invece altro: che la proposta di divieto sarebbe stata inserita salvo poi decidere se approvarla o meno. Un mezzo passo indietro, forse. Resta evidente che ci vuole cautela. È uno di quei casi in cui pare più opportuno che sia il mercato a decidere e, di riflesso, il sovrano consumatore passeggero. Così, in un futuro molto vicino, quando acquisteremo un biglietto, oltre a selezionare la classe in cui viaggiare, potremo scegliere se parlare al telefono oppure no. Con un'incognita parecchio interessante: se questo servizio si pagherà di più, o se, all’opposto, il silenzio ad alta quota verrà venduto come un benefit, un bonus aggiuntivo, l’ultimo residuo di pace in un mondo inguaribilmente chiassoso.  

I più letti

avatar-icon

Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

Read More