Android Wear: 5 cose da sapere
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Android Wear: 5 cose da sapere

I primi smartwatch arrivano anche in Italia: cosa è possibile fare, quanto costano e perché dovremmo aspettare i prossimi

Da ieri anche gli italiani possono acquistare il Samsung Gear Live e il G Watch di LG, i primi due orologi intelligenti con sistema operativo Android Wear. Non si tratta degli unici smartwatch lanciati sul mercato. A differenza di smartphone e tablet, negli anni scorsi abbiamo assistito ad alcuni esperimenti interessanti (tipo quello dell’italiana i’m Watch) e promesse mai definitivamente sbocciate (come il Pebble Watch). Tra le big si era fatta avanti solo Sony con le sue due versioni di Smart Watch, due orologi dalla buona realizzazione hardware e software, ma niente a che vedere con quello che promette di offrirci Google con Android Wear. Per questo fissiamo 5 punti, da cui partire per decidere se uno smartwatch Android può essere la scelta migliore per le nostre esigenze.

Si accoppia solo con Android

Non solo Samsung ed LG. Tutti i prossimi smartwatch con sistema operativo Android Wear potranno interfacciarsi solo con smartphone e tablet che montano una versione di Android a partire dalla 4.3.1, grazie ad un aggiornamento alla struttura apportato da Google. Per questo se siete felici possessori di un iPhone, BlackBerry o Windows Phone, allora non vi aspettate di poter far interagire lo smartwatch con il vostro telefono. E se qualche forum di appassionati vi racconta il contrario, beh non credeteci più di tanto, perché anche se dovesse uscire qualche trucco per abbinare l’orologio ad altri sistemi operativi sarà comunque limitato nelle funzioni. A quel punto vi basta uno Swatch.

Tutti per uno

Ogni orologio Android Wear è diverso dall’altro, ma in fondo è sempre lo stesso. I designer e i produttori personalizzeranno i loro orologi secondo vari stili e indicazioni del mercato ma è chiaro che alla base ci sarà sempre lo stesso sistema operativo. Questo vuol dire avere un’identica interfaccia, impostazioni, comandi e funzioni vocali. A differenza di Android su telefoni e tablet, qui le aziende non potranno (almeno per ora) rendere unico l’OS; per avere la TouchWiz di Samsung o la UI di LG su smartwatch bisognerà aspettare ancora un po’.

La potenza sotto il cinturino

Come per il software, anche la sezione hardware non darà molta possibilità di variazione: il problema principale è lo spazio. Va bene che la tecnologia ha fatto passi da gigante nel produrre hardware sempre più piccoli, ma se si vuole lasciare che uno smartwatch mantenga le dimensioni di un orologio, allora lo spazio a disposizione si riduce drasticamente. La conseguenza è che all’interno troveremo praticamente le stesse caratteristiche tecniche, tant'è che sia il Gear Live che il G Watch presentano lo stesso processore, memoria di archiviazione e RAM. Piccole differenze solo per la risoluzione dello schermo e per la capacità della batteria, troppo poco per far cadere la scelta da una parte o dall'altra.

Google Now: croce e delizia

Gran parte dell’interazione dell’utente su Android Wear si concentra sulle schede di Google Now. Ma un conto è gestirle su uno schermo da almeno 4 pollici e un altro cercare di capirci qualcosa sull’orologio. La mole di informazioni che la piattaforma riesce a ricevere e restituire è davvero enorme e tra notifiche sulla barra, pop-up e avvisi sonori, il caos generato potrebbe portare alla disattivazione del servizio, trasformando lo smartwatch in un semplice surrogato del telefono, con cui leggere SMS e comandare il player musicale. A sto punto meglio un iPod.

Comprare o meno

Il prezzo per ognuno dei dispositivi è di 199 euro, entrambi acquistabili da ieri solo sul Play Store di Google. Vale la pena comprarli adesso? Probabilmente no, ma non solo per aspettare che scenda il prezzo (già non altissimo per oggetti hi-tech del genere) quando per capire come evolveranno i prossimi smartwatch. Ci sono dei difetti di gioventù evidenti. Un esempio? I due orologi non possono essere usati come chiavetta digitale, per caricare o trasportare file multimediali, ad esempio foto e video. Non si tratta di funzioni vitali ma di mancanze che fanno capire come la piattaforma possa essere migliorata, magari integrando delle caratteristiche dall’Android maggiore (dove in pratica si può fare di tutto). Per il momento il G Watch e il Gear Live si trovano in un limbo particolare del panorama consumistico tecnologico. Idealmente in quello spazio sullo scaffale dei negozi che sta tra un romanzo di Philip Dick e una statuetta di Aiden Pearce.

 

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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