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Tecnologia: come sarà la scuola del futuro

Robot che insegnano a programmare, social per insegnanti e studenti, software che scoprono chi copia. Viaggio nell'evoluzione dell'istruzione

da Londra

Ci sono robot chiassosi d’ogni forma e colore: lumache arancioni dal guscio luccicante, dinosauri tigrati, sagome di bruchi, orsi ed elefanti che sciamano veloci su ruote minuscole. E poi muraglie di schermi dalla taglia esagerata, plotoni di pc, caschi per la realtà virtuale che raggirano il cervello e lo spediscono chissà dove. A vederla così, a un primo impatto brutale, la simulazione della scuola del futuro sembra un ciclopico circo ubriaco, una sovrapposizione senza ordine né criterio di plastica e rumore. Invece, esplorandola, se ne indovina il senso, se ne incastrano i pezzi: quei robot sono programmati dai ragazzi, che decidendone i movimenti imparano sequenze e regole del linguaggio informatico; i display sono lavagne interattive sensibili al tocco dei polpastrelli, i computer i nuovi libri e quaderni, i visori porte d’accesso a scenari altrimenti raggiungibili solo con gite di gruppo dai costi proibitivi: l’oceano, uno qualunque dei due poli, il deserto o la savana. È un po’ l’equivalente delle vecchie videocassette consumate nel laboratorio di scienze, ma interattive ed esplorabili a 360 gradi.

Un feeling naturale con la tecnologia

Siamo alla Bett di Londra, la fiera più importante al mondo dedicata all’istruzione e alle sue evoluzioni. Uno spazio sovrabbondante che sfrutta un fatto ovvio: le nuove generazioni hanno un feeling totale e naturale con la tecnologia, tanto vale trasferirla nelle classi, utilizzarla per coltivare le loro conoscenze. Metterla al servizio della didattica: «È un momento straordinario per essere studenti. Non devono aspettare il diploma per trasformare in pratica le loro intuizioni e le loro visioni, possono iniziare a farlo da subito» spiega a PanoramaAnthony Salcito, vicepresidente di Microsoft e responsabile globale del settore Education. La sua azienda ha donato circa 1,4 miliardi di dollari tra software e servizi per aiutare quasi 100 mila organizzazioni no profit e istituti su tutto il mappamondo nel passaggio dall’analogico verso il digitale. E a Bett Microsoft è presente in forze assieme ad Acer, Dell, Intel, HP, Google e tutti i big del settore, consapevoli, inutile negarlo, che gli utenti oggi sui banchi saranno i clienti di domani.

Colossi e start-up

Accanto ai nomi noti sfila un esercito di start-up, ognuna con la sua soluzione per insegnare in modo nuovo o aiutare chi è rimasto indietro. Forse da qui è opportuno partire, da progetti come Code Jumper: piccoli dispositivi con tasti, manopole e valvole, ognuna con una funzione specifica, ciascuna collegabile tramite a un cavo a un’altra. È un puzzle di comandi, di azioni a cui segue una reazione su uno schermo: il pilastro logico, il dietro le quinte di qualsiasi software. Le istruzioni per attivarle sono in braille, il linguaggio dei ciechi. Che apprendono i meccanismi di quello informatico alla pari dei loro coetanei vedenti, i quali intanto programmano chip in grado di far muovere ventilatori di legno e di carta o far accendere lampadine su pezzi di cartone. Sembra un passatempo ma sono rudimenti di lavori d’ingegneria.

Cosa succede in Italia   

La scuola, d’altronde, è il luogo dove i ragazzi si devono attrezzare per i mestieri del futuro, che lasceranno ai margini chi non ha sviluppato le capacità adatte: «Perciò, in collaborazione con Fondazione mondo digitale, nel corso del 2019 coinvolgeremo 250 mila studenti tra i 12 e i 18 anni e 20 mila docenti in corsi per acquisire competenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale e della robotica» racconta Francesco Del Sole, direttore della divisione Education di Microsoft Italia, calando il discorso nello Stivale, smentendo il pregiudizio che Londra e le sue visioni avveniristiche siano avanguardie distanti, che ancora non ci riguardano. Per l’80 per cento, i corsi saranno in aree svantaggiate del Paese, si snoderanno tra Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, ma anche Lazio, Toscana, Lombardia e altre regioni. Con una doppia consapevolezza di fondo: sono un inizio, un esempio da seguire, ripetere, intensificare. E poi, sono solo una sfumatura di uno spettro ampio perché l’alfabetizzazione tecnologica implica dinamiche varie. «Pensiamo per esempio a quelle social» dice Del Sole: «Sono utilizzate quotidianamente per motivi ludici. La sfida è renderle formative».

Vietato copiare

A Bett abbiamo assistito alla dimostrazione di Flipgrid, un social network per le classi aperto in contemporanea a studenti, docenti e genitori. Ognuno può lasciare il suo contributo pubblicando brevi video, arricchendoli con vignette, icone, animazioni e tutto il repertorio tipico di amenità che aiutano a sdrammatizzare il contenuto e stimolare la replica, l’interazione. Un modo per semplificare il contatto tra microcosmi altrimenti serrati, poco permeabili: «Bisogna connettere le classi con il mondo esterno di riferimento, favorire il dialogo tra i protagonisti, tra i vari attori dell’universo della scuola» sintetizza Salcito. Questo è il risvolto teorico. Quello pratico: un padre e una madre sapranno sempre se il figlio è presente o assente in classe e che voti ha preso a un’interrogazione. Subito, non quando arriva la pagella o viene fissato un incontro serale con i docenti. Inoltre, i genitori saranno informati se i loro ragazzi hanno commesso qualche bravata, persino se hanno copiato: strumenti «d’integrità accademica» (espressione efficace ma un filo lugubre) come Turnitin, già adottato in 15 mila istituti di 150 Paesi, analizzano in automatico i compiti in classe, le tesine, qualsiasi file caricato sulla piattaforma e dicono in che percentuale un testo è simile ad altri documenti, archivi, pagine web. Smascherando i furbetti. Sarà pure un momento straordinario per essere studenti come rilevava Salcito, ma in tanti potrebbero arrivare a rimpiangere i tempi della penna e dei fogli protocollo in cui farla franca non era una missione impossibile.

Intelligenza non artificiale

«Però rimane fondamentale guardare al contesto, capire che tipo di pressioni subisce uno alunno per spingerlo a imbrogliare» corregge la prospettiva Marc Brackett, direttore del «Center for emotional intelligence» dell’università di Yale. Lo stesso vale per il proliferare del cyber bullismo, che è il risvolto oscuro di questa sovrabbondanza tecnologica nelle scuole, di quest’ubiquità del digitale: tutti sono connessi, qualsiasi bersaglio è raggiungibile e può essere messo alla berlina, ferito, umiliato e insultato in un gruppo su WhatsApp o su qualsiasi altra chat o social che andranno di moda domani. «Sono un fermo sostenitore del fatto che la tecnologia sia neutrale» commenta Brackett: «Dietro ogni post offensivo, c’è un essere umano. È a lui, è a ciascuno studente che bisogna insegnare a compiere le scelte migliori nell’uso di questi strumenti». Assieme alle sue mirabolanti frontiere, alle sue enormi, inedite possibilità, la scuola del futuro conserva una sfida arcaica e cruciale: «Sviluppare nei ragazzi doti relazionali e spirito di squadra. Aiutarli ad affrontare le frustrazioni». Costruire dentro di loro un’intelligenza emotiva che, di quella artificiale, è l’esatto opposto. (Twitter: @MarMorello)

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Un progetto realizzato da alcuni studenti con materiali a basso costo e micro:bit (a sinistra), un piccolo computer programmabile.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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