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Tecnologia

Samsung, parla il capo mondiale del design: "La forma è innovazione"

Intervista esclusiva al vicepresidente Don Tae Lee, che guida i team dietro le rivoluzioni morfologiche della casa coreana

Nessuno, uno, millecinquecento. Tre numeri che stringono la storia di un cambio di prospettiva, di una rivoluzione nell’approccio alla creatività: nell’anno della sua fondazione, era il 1969, Samsung non aveva nemmeno un designer tra i suoi dipendenti; il primo è arrivato nel 1971 e ricopriva un ruolo molto marginale, quasi superfluo: rendere un minimo grazioso, decorare o poco più, ciò che gli ingegneri avevano concepito e su cui mai e poi mai sarebbero tornati a intervenire.

Nuove icone

Oggi tutto è cambiato: la multinazionale coreana conta circa 1.500 designer, una batteria di matite e cervelli, un piccolo esercito che si occupa di pensare ed elaborare la forma delle sue innovazioni in piena coerenza con la loro funzione. Dall’inizio alla fine: «Lavorando a stretto contatto con altri team come quelli della progettazione, della ricerca e sviluppo e delle vendite, attraverso l’intero processo dello sviluppo del prodotto» racconta in esclusiva a PanoramaDon Tae Lee, il numero uno del Corporate design center dell’azienda. È stato il co-presidente di Tangerine, un’accademia di talenti, il prestigioso studio britannico da cui è uscito anche Jony Ive, il demiurgo del design in Apple. Oggi Don Tae Lee è il direttore di un’orchestra di menti che, nel tempo, ha forgiato oggetti diventati iconici nel nostro quotidiano come televisori simili a quadri, elettrodomestici che echeggiano astronavi, telefoni quasi senza cornice e, prestissimo, in grado di piegarsi in due come un foglio di carta. Pura avanguardia morfologica made in Samsung.

Samsung-LeeDon Tae Lee, vicepresidente esecutivo e responsabile del Corporate design center & mobile UX center di Samsung ElectronicsSamsung

L'arte di connettersi al mondo

«Tramite una ricerca in profondità di varie tendenze del mercato e analisi mirate sui consumatori, sviluppiamo forme dallo stile innovativo e l’usabilità intelligente» riassume Don Tae Lee, che nel lungo curriculum vanta un master in design industriale conseguito presso il prestigioso Royal College of Art di Londra. Uno snodo nel suo percorso che, accanto a uno spiccato pragmatismo, sembra avergli lasciato una forte impronta umanistica: «Ci impegniamo molto» spiega infatti scegliendo bene le parole «per connetterci al mondo nel quale viviamo». E proprio questa connessione, prima antropologica che materiale, sarà al centro di «Resonance», l’installazione che l’azienda porterà a Milano durante il Fuorisalone della Design Week: uno spazio labirintico pieno di luce, in cui il visitatore sarà chiamato a interagire in prima persona, a parlare, a toccare ciò che lo circonda, per diventare parte integrante della mostra. Evocando quella conversazione spontanea con la tecnologia, quel dialogo bilaterale, condiviso, che poi è l’obiettivo finale del design in casa Samsung.

Samsung-Fuorisalone-2Un'immagine del concept dell'installazione «Resonance» di SamsungSamsung

Come si è giunti a questo approdo, come si è consolidato questo nuovo paradigma?

Contrariamente al passato, i designer oggi hanno esperienza e conoscenze di tipo ingegneristico. Suggeriscono concept che sono innovativi, ma fattibili a livello tecnologico. In più, gli ingegneri affrontano con positività le sfide e s’impegnano a risolvere i problemi, il che rappresenta uno dei nostri principali vantaggi competitivi. In definitiva, decidiamo di procedere con un prodotto se sappiamo che migliorerà lo stile di vita delle persone. Gli utenti vogliono armonia tra il design e l’usabilità e facciamo di tutto per raggiungere tale equilibrio.

In questo tentativo di bilanciamento, che spazio resta per la creatività anarchica, quella senza freni?

È un attributo che viene valutato parecchio in Samsung. Il coraggio è favorito a ogni livello. Tentiamo sempre di ricordarci d’immaginare cose che diano alle persone il potere di discutere lo status quo, di esprimersi in maniera unica. Curiosità e creatività sono due attributi che troverete in tutti i nostri prodotti.

La tecnologia sta vivendo una fase di grande fermento, tra chip sempre più piccoli e schermi pieghevoli. È entusiasta per le nuove possibilità o spaventato dalla loro laboriosità?

È vero, ci sono molti cambiamenti in corso nel settore, sia a livello software che hardware. Lo scenario si sta facendo più complicato: gli schermi stanno diventando flessibili, mutano le modalità d’interazione con le cose. Tutto ciò, ovviamente, ha un impatto sostanziale. In passato ci concentravamo principalmente sullo stile, ora ci preoccupiamo d’incorporare questi elementi nel design per generare esperienze olistiche.

All’opposto, non rischiate di finire schiacciati dalla tirannide delle specifiche tecniche, delle scelte che inevitabilmente presuppongono?

Quando le persone pensano ai designer, la mente va subito ai limiti imposti loro dalla tecnologia. Noi non siamo d’accordo. Studiamo molti tipi di prodotti e, nel corso delle nostre ricerche, siamo contagiati da tutto. Dovunque ci siano sfide, dobbiamo vincerle. E quando lo facciamo, vediamo il cambiamento.

Qual è il prototipo del creativo che merita la sua ammirazione?

Chi ha l’intuito di scorgere quello che gli altri non notano, favorendo le interpretazioni multiple, quelle che fanno guardare da molte e diverse prospettive. Sono queste le tipologie di designer che tengo d’occhio e da cui traggo parecchia ispirazione.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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