Trump presidente mette in discussione la libertà della Rete
IoSonoUnaFotoCamera, Flickr
Tecnologia

Trump presidente mette in discussione la libertà della Rete

Ha fatto della censura online uno dei cavalli di battaglia del suo programma elettorale. Il monitoraggio promesso è dietro l'angolo

A dicembre del 2015, quasi un anno fa, molti dei discorsi di Donald Trump facevano sorridere, perché sembravano irreali. Tra questi c’era la famosa volontà di “chiudere internet”, per limitare la propaganda terroristica sul web, in primis quella del radicalismo islamico. Adesso, con la conferma dell’elezione a 45mo presidente degli Stati Uniti, strategie del genere sono destinate a diventare realtà, almeno in parte.

"Ci stiamo facendo sfuggire la cosa di mano, perdendo molte persone per colpa di Internet. C’è bisogno di intervenire, fare qualcosa. Ad esempio parlare con Bill Gates e con chi si rende davvero conto di ciò che sta accadendo e, se è il caso, chiudere l’accesso alla rete, in alcune zone. Qualcuno dirà "è la libertà di parola?", sciocchi. Oggi internet viene usata per reclutare migliaia di ragazzi, che lasciano il nostro paese e poi tornano senza problemi”.

Sono le parole espresse durante un comizio in Sud Carolina e che rappresentano il sentimento di chi, piuttosto che risolvere il problema sfruttando le potenzialità del digitale, pensa di poter zittire l’intero web, attivando blocchi e restrizioni, qualcosa di simile alla situazione in Cina, tutto fuorché una democrazia. La morsa che Trump intende attuare, almeno nelle premesse fatte a dicembre e che dovranno trovare conferma nelle proposte a Camera e Senato, riguarda la navigazione su siti, portali e applicazioni mobili, con il chiaro volere di centralizzare il controllo nelle mani del governo e delle agenzie partner.

In poche parole, l’idea di Grande Fratello rivelata anni fa da Edward Snowden, potrebbe divenire d’un tratto legale, affiancando pericolosamente la politica  statunitense a quella di Pechino, che si appresta ad adottare una versione rivista della Cybersecurity Law, che prevede l’ottenimento, da parte della polizia, di una vasta molte di dati sensibili degli utenti, compresi nomi reali di social network e forum (che richiederanno un’iscrizione trasparente, con generalità confermate), luogo di accesso ai servizi, eventuali file multimediali scambiati e molto altro. Insomma, qualcosa in più del “semplice” monitoraggio dei metadati effettuato dalla National Security Agency.

Solo due mesi fa, Donald Trump era tornato alla carica, mischiando le carte in tavola a difesa dell’invenzione americana di internet. In che modo? Attaccando i piani del governo di lasciar scadere l’accordo IANA, Internet Assigned Numers Authority, che l’agenzia federale NTIA stipula ogni anno con la no-profit ICANN, per la gestione dei domini DNS, in pratica l’infrastruttura che sostiene la rete. Questo non vuol dire che gli USA, in un modo o nell’altro, sono i padroni del network globale, ma che entrano nel merito delle pratiche burocratiche e tecniche del corretto funzionamento delle dorsali telematiche.

Per l’uscente Obama, lasciare che fosse un organismo transnazionale a prendere il posto della NTIA avrebbe portato maggiore trasparenza al processo, per Trump invece la decisione sarebbe stato il primo passo verso il caos totale, del quale hacker e criminali cinesi e russi avrebbero tratto i principali vantaggi. Dal 1 ottobre ICANN non è più un affare di Washington, non direttamente almeno, visto che NTIA ha assunto valenza come ente internazionale, con una supervisione dall’esterno.

Quanto rischia davvero la libertà della rete con il mandato Trump?

Finora Barack Obama ha mantenuto un certo bilanciamento nello sfruttare i poteri tecnologici offerti dalla sua posizione. Non parliamo solo degli strumenti della NSA ma anche dell’influenza sui social network, sulle multinazionali hi-tech, persino nell’intrigata questione Apple-FBI. Trump probabilmente non userà lo stesso savoir-faire. Sia chiaro: nemmeno il presidente degli Stati Uniti può obbligare Facebook e Twitter a consegnare i dati dei suoi clienti, soprattutto se ciò riguarda le comunicazioni crittografate con metodologia end-to-end, ma le leggi cambiano e il neo inquilino della Casa Bianca potrebbe lavorare a norme più restrittive e nazionaliste.

Eppure proprio dai social media sono arrivate le soddisfazioni maggiori per il tycoon. Da un confronto sull’andamento delle pagine Facebook del candidato repubblicano e di Hillary Clinton, è apparso chiaro che nelle ultime settimane i favori pendessero più verso Trump: oltre 1 milione di nuovi “Like” contro gli 890.000 della democratica, con un totale quasi doppio a favore del presidente eletto. Evidentemente i sondaggi non hanno ancora imparato a fare affidamento sui pareri degli utenti online.

Intanto, l’industria tecnologica sta reagendo con un certo sarcasmo alla notizia. Shervin Pisheva, co-fondatore di Hyperloop One, ha detto che l’unica soluzione per la californiana Silicon Valley (dove risiedono centinaia di industrie e startup), è l’indipendenza, mentre Dara Khosrowshahi, CEO di Expedia, ha affidato a un tweet la sua delusione: “I leader tech devono ammettere di essere enormemente scollegati dalla nazione. E questo non va bene”. 

I più letti

avatar-icon

Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

Read More