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Tecnologia

Privacy web, gli editori alla Ue: così favorite Google e Facebook

Media italiani e europei contro il nuovo regolamento che favorisce ulteriormente la concentrazione a favore di pochi giganti della rete

Gli editori italiani e europei hanno inviato una lettera apertaParlamento europeo e al Consiglio europeo contro la proposta di regolamento Ue sulla privacy online.

Perché è un ostacolo all'attività degli editori?

Il punto è che l’intenzione nobile - garantire la privacy degli utenti della rete soprattutto in relazione alla raccolta dei dati fatta da Google, Facebook e dagli altri giganti - rischia di avere un effetto collaterale grave per i media e gli editori di giornali, magazine, siti web giornalistici.
La faccenda riguarda infatti le informazioni che gli editori possono ricavare dai comportamenti dei lettori sui propri siti, informazioni che consentono di formare meglio l’offerta informativa e che hanno un importante valore per la vendita di pubblicità agli inserzionisti (quindi per la vita delle testate).

Cosa prevede il nuovo regolamento

La proposta di regolamento è stata presentata dalla Commissione europea, e dovrebbe sostituire la direttiva 2002/85/CE. Data di entrata in vigore prevista il 2018.

In particolare sotto osservazione è l’articolo 10 del regolamento proposto, che riguarda la disciplina del consenso al tracciamento dei dati.

Questo articolo prevede che l’utente di un servizio web non sia più tenuto a dare il proprio consenso per ogni sito che visita (ciò che deve fare oggi) ma che potrà darlo preventivamente, al momento di installare il browser che usa (sul pc, sul telefono o sul tablet).

Favoriti Google, Facebook e pochi altri

In questo modo verrebbero favoriti i grandi operatori che usano piattaforme alle quali si deve accedere con il login, con la conseguente possibilità di avere una “seconda occasione” per domandare agli utenti il permesso di acquisire e tracciare i loro dati. In questo modo supererebbero facilmente l’eventuale blocco impostato dall’utente nelle impostazioni del browser.

La lettera è stata inviata al Parlamento europeo e al Consiglio europeo dagli editori italiani riuniti nella Fieg (Federazione italiana editori giornali) insieme a quelli europei, tutti riuniti nell'Enpa (European newspaper publishers' association) e nell'Emma (European media magazine association).

Quali sono gli editori firmatari

Si tratta di editori come Mondadori, la Repubblica, Financial Times, The Guardian, Le Monde, Der Spiegel, Libération, Il Sole 24 Ore, Figaro, per citare i maggiori.

Il testo della lettera degli editori

Lettera aperta al Parlamento / Consiglio Europeo
Fiducia, riservatezza e informazione:
la necessità di riconsiderare le proposte sull’ePrivacy

Noi diamo il nostro pieno sostegno all’obiettivo della bozza della Commissione per regolamentare l’“ePrivacy” che ha il potenziale di riuscire far pulizia nell’economia digitale e a ripristinare la fiducia dei cittadini nelle modalità d’uso online delle loro informazioni personali. Gli utenti, infatti, sono giustamente preoccupati di come i loro dati sono utilizzati da società terze di cui non hanno mai sentito parlare, e non hanno nessuna idea del ruolo che queste hanno nelle loro vite digitali online. Le organizzazioni del mondo dell’informazione fanno affidamento sulla fiducia dei propri lettori e dunque noi siamo del tutto favorevoli a un sistema normativo che ripristini la fiducia e faccia pulizia nell’ambiente digitale. Tuttavia, le organizzazioni del mondo dell’informazione utilizzano anche le informazioni prodotte dai lettori per migliorare i loro prodotti e i loro servizi con l’offerta ai lettori di un giornalismo che sia di loro interesse e inserendo inserzioni pubblicitarie tabellari digitali che siano importanti per i lettori.

In conseguenza della distribuzione digitale, un numero di utenti digitali superiore a quello di qualsiasi altro periodo precedente oggi ha accesso a informazioni e notizie di alto livello e qualità. Tuttavia, il trend in costante aumento di consumatori che accedono a contenuti di informazione per mezzo di portali di parti terze come Google News, Facebook, Yahoo, Apple News, MSN (Microsoft) e Amazon Alexa sta modificando le modalità d’uso delle informazioni da parte dei cittadini europei [1], facendo sì che di conseguenza gli editori si affidino sempre più a un piccolo numero di piattaforme globali.

Con le attuali proposte sull’ePrivacy, la Commissione propone dunque che, nel momento stesso in cui si collegano a Internet con un’interfaccia browser, gli utenti digitali debbano dare il loro consenso a un tracking non strettamente necessario su base globale. Tenuto conto che in Europa il 90 per cento dell’accesso a Internet è nelle mani di quattro aziende appena – Google, Apple, Microsoft e Mozilla [2] –, l’attenzione riposta sull’ottenimento del permesso degli utenti tramite l’interfaccia browser in teoria potrebbe esasperare l’asimmetria di potere tra i singoli editori e questi portali digitali globali.

Le proposte sull’ePrivacy sono incompatibili con le implicazioni della General Data Protection Regulation (GDPR, Normativa per la tutela delle informazioni generali), che dovrebbe entrare in vigore entro il maggio 2018, avente lo scopo di rispettare la privacy dell’utente conferendo a quest’ultimo il potere di controllare le modalità di raccolta delle informazioni sul suo comportamento durante la navigazione online, nell’ambito di ciascun sito visitato. Creando un unico permesso globale nell’ambito dell’interfaccia browser, le proposte sull’ePrivacy della Commissione renderanno più difficile garantire la trasparenza e una significativa consapevolezza d’uso nella pratica, ed elimineranno qualsiasi distinzione tra editori che assegnano un grande valore alla fiducia dei loro utenti e coloro che non lo fanno.

Mentre il memorandum esplicativo che accompagna le proposte sull’ePrivacy non vieta espressamente agli editori di comunicare con i lettori al fine di ottenere il loro consenso per l’uso di cookie di parti terze, in pratica gli editori temono che sarà assai difficile riuscire a persuadere i lettori a modificare le impostazioni dei loro browser per autorizzare i cookie di parti terze. Di conseguenza, le singole organizzazioni del mondo dell’informazione non sarebbero in grado di fornire ai lettori contenuti e offerte marketing personalizzate, né contenuti pubblicitari digitali di rilievo che rientrino nell’ambito dei loro interessi.

La prassi di presentare contenuti pubblicitari di interesse per i lettori è ormai consolidata nel settore pubblicitario, ed è essenziale per garantire che gli editori possano competere con Google e Facebook che già nel 2017 [3] controllano il 20 per cento della spesa complessiva globale in pubblicità. Qualora gli editori del settore dell’informazione non dovessero essere in grado di offrire pubblicità pertinenti ai propri lettori in conseguenza di queste proposte, ciò inciderebbe molto sulla nostra capacità di competere con le opportunità delle piattaforme digitali dominanti per gli introiti derivanti dalla pubblicità digitale, e in conclusione potrebbe mettere a repentaglio la nostra capacità di investire in un giornalismo di alta qualità in tutta Europa.

Le attuali proposte relative all’ePrivacy porteranno quindi alla concentrazione delle informazioni personali sugli utenti europei del digitale nelle mani di un numero ristretto di società globali, e in conseguenza di ciò i cittadini digitali diventeranno meno tutelati. Queste proposte dunque offriranno a poche società globali una presa maggiore sulle informazioni personali degli utenti digitali europei, rafforzerebbero ancora di più il loro predominio nell’economia digitale europea e introdurrebbero maggiori complessità per i singoli editori, malgrado la Commissione Europea abbia già esaminato tali questioni e le abbia regolamentate con una normativa che entrerà in vigore nel 2018.

[1] 1 The latest Reuters News Report - which surveyed citizens across the world - found that “ half (51%) say they use social media as a source of news each week. More than a quarter of 18–24s say social media (28%) are their main source of news – more than television (24%) for the first time.” As a result of these changes, the Reuters survey found that the “growth of news accessed and increasingly consumed via social networks, portals and mobile apps means that the originating news brand gets clearly noticed less than half the time in the UK, and Canada. In countries like Japan and South Korea, where aggregated and distributed news is already more widespread, the brand only gets noticed around a quarter of the time when accessed through news portals.”
[2] https://www.statista.com/statistics/269881/market-share-held-by-internet-browsers-in-europe/
[3] https://www.theguardian.com/media/2017/may/02/google-and-facebook-bring-in-one-fifth-of-global-ad-revenue

(Traduzione di Anna Bissanti)

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