Hotel, così i giudizi verificati rendono le recensioni più affidabili
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Hotel, così i giudizi verificati rendono le recensioni più affidabili

La ricetta di Expedia per combattere il fenomeno delle opinioni fasulle e ridurre il rischio di brutte sorprese

Il 78 per cento degli italiani considera importanti le recensioni quando viaggia per piacere, il 72 per cento quando si sposta per lavoro. È dunque estremamente probabile che si decida di prenotare un albergo (o di non prenotarlo), in base a una o più opinioni lette on line. Ed è altrettanto logico, visto il loro enorme peso specifico, che intorno a questi stringati, a volte taglienti e altre indulgenti giudizi, si sia sviluppato un robusto business. Alimentato da chi le fabbrica ad hoc, spesso a pagamento, per esaltare una struttura o screditare la concorrenza; favorito da portali con maglie fin troppo larghe, che per fare traffico e volume permettono a chiunque di dire la sua su un albergo o un ristorante. Senza che dimostri in qualche modo di esserci effettivamente stato e senza troppi controlli sulla sua reale identità.  

Il tema è noto, dibattuto e molto sentito tra i viaggiatori. Ecco perché qualcuno ha deciso di proporre una sua strada, un’alternativa. Per esempio, colossi come Expedia preferiscono agire per sottrazione: ospitare meno recensioni, ma garantendo sulla loro autenticità o, almeno, offrendo qualche garanzia di trasparenza in più. Lo dicono i numeri: su TripAdvisor, indirizzo di riferimento per le opinioni su hotel, ristoranti, locali e attrazioni, i giudizi sono 125 milioni (secondo le statistiche del sito ufficiale). Su Expedia si fermano a 10 milioni, di cui 160 mila solo in Italia. Siamo infatti il quarto Paese in termini di propensione a rilasciare un commento dopo un viaggio: «Sono già tante, ma se avessimo adottato un altro sistema sarebbero molte di più» spiega a Panorama.itFabrizio Giulio, managing director di Expedia.it.

«Abbiamo adottato la scelta strategica di mettere filtri e paletti nella raccolta perché ci stavano a cuore la qualità e la veridicità». Per lasciare una «review», è necessario non solo aver prenotato tramite il sito, ma aver effettivamente soggiornato presso la struttura. A quel punto si riceve un link alla propria mail e si ha acceso a un form per scrivere la propria opinione. Se si è cancellata la prenotazione o non ci si è presentati all’ultimo momento, il famoso «no show», l’albergo lo comunica per incassare la prima notte e la mail non arriva.

Ovvio che il meccanismo non è infallibile, che albergatori interessati a fabbricare giudizi ad hoc potrebbero comunque farcela. Ma dovrebbero far prenotare un loro complice e, come minimo, versare la percentuale che Expedia guadagna su ogni soggiorno (il pagamento dell’intero soggiorno sarebbe, di fatto, un pagamento a se stessi). Insomma, molto più oneroso, cervellotico, complesso che scrivere da soli finti giudizi o consegnare qualche euro a una società terza per farlo. Inoltre il sito impone un tetto temporale: «Concediamo una finestra di sei mesi di tempo per rilasciare una recensione» chiosa Giulio. «Passato quel periodo, riteniamo che i ricordi non siano abbastanza freschi per essere considerati affidabili».

Expedia, comunque, sulle sue pagine pubblica anche i giudizi di TripAdvisor, strumento di paragone quando le opinioni in italiano non sono abbastanza per formarsi un’idea. Ma ha notato una sostanziale differenza rispetto a quelli che sono invece frutto dei suoi «giudizi verificati». «In media, sono piuttosto severi. La barriera d’accesso fa sì che chi decide di lasciare un giudizio ha una forte motivazione a farlo». E se ha trovato qualcosa che non va, non usa troppi eufemismi o giri di parole per indicarlo.

Prima di andare on line, inoltre, una recensione viene letta e verificata per accertarsi che sia conforme alle linee guida del sito. Certo non c’è censura sui contenuti, ma si controlla che non contenga un linguaggio improprio o che non citi materiali copiati da altri siti web. Insomma, che possa tendenzialmente avere i requisiti minimi per essere utile e non disturbare chi le andrà a leggere. O non fare pubblicità mascherata da una review. «Ovvio che questo procedimento per noi ha un costo, ma il nostro business è vendere un prodotto, la stanza d’albergo, e dunque vogliamo assicurarci che tutto funzioni per il meglio». Ad altri portali, che si basano sulla quantità, banalmente non conviene avere lo stesso occhio per la qualità.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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