Big Data: a caccia dell'algoritmo che promette l'Eldorado
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Big Data: a caccia dell'algoritmo che promette l'Eldorado

Aumentano le aziende che assumono specialisti per utilizzare le informazioni digitali che i consumatori creano ogni giorno e trasformarle in oro

Se hanno appena pranzato o fatto colazione, i giudici emettono sentenze più favorevoli. A dirlo non è un imputato furioso per una condanna ingiusta ottenuta alle sei del pomeriggio, ma l’analisi dei dati dell’università di Ben-Gourion, in Israele. I nostri parlamentari si uniscono votando i provvedimenti con logiche che non rispecchiano affatto i partiti di appartenenza. Ad affermarlo non è una vittima dei franchi tiratori, ma uno studio dell’Imt, l’istituto di alti studi di Lucca. Si può prevedere il volume delle transazioni finanziarie contando quante persone cercano su Google una certa compagnia quotata in borsa. E stavolta a dircelo è lo stesso motore di ricerca. Dimenticate il cosiddetto «fiuto» per gli affari, fondamentale nelle leadership del passato.

È superato dai «big data», dagli algoritmi, e, soprattutto, dai buoni analisti. Anche se per noi mediterranei, figli dell’umanesimo, più sanguigni e passionali degli anglosassoni è difficile da accettare, l’approccio scientifico paga di più. E può aiutare a salvare il nostro business nel mare in tempesta che è l’ingresso nella cosiddetta iperstoria, che altro non è che l’era dei big data.

Non resta che approfittarne: delegare importanti decisioni al software giusto può essere meno peggio di quel che si immagina. Se per aiutare aziende in difficoltà, cambiare processi, metodologia e business plan un tempo si sperava di incontrare il genio della lampada di Aladino, oggi si spera di trovare il giusto «data scientist», che sappia tuffarsi nello tsunami dei numeri (senza affogare lui stesso) e tornare a galla con nuove certezze sulla direzione giusta da prendere. Se il nostro eroe fosse Sherlock Holmes, il suo Watson sarebbe l’algoritmo.

Prendiamo Algo-wine: è un nuovo software di Ors Group che evita ai viticoltori di assaggiare l’uva giorno dopo giorno, fare costose analisi di laboratorio per capire gli equilibri tra zuccheri e acidi. E, soprattutto, di essere approssimativi. Incrociando i dati sul tipo di acino, del terreno, l’esposizione alla luce e al calore, con i dati meterologici, la presenza di rugiada, la vita dei parassiti, l’enologo può prevedere il momento esatto di maturazione di ogni filare. E vendemmiare all’unisono con la natura. "Si può evitare così, per esempio, che eccessi di raccolto degradino la qualità del vino, oppure che il ritardo nella raccolta vada ad alterare i parametri chimici necessari per mantenere struttura ed aromi" spiega Pierluigi Riva, chief technology officer di Ors Group, società italo-tedesca il cui motto è "trasformiamo i dati in cash flow". La prima azienda che ha adottato Algo-Wine ha ottenuto il 30 per cento dei risparmi. Ma è solo l’inizio della filiera.

Ogni prodotto, può essere incrociato con l’esame dei comportamenti umani per non sbagliare momento, luogo, target e modo giusto per essere proposto al cliente, al cittadino, al pubblico. "Molti aspetti dei comportamenti umani sono altamente prevedibili, grazie al fatto che molti dei modelli quotidiani di comportamento sono regolari" ricorda Làzlo Barabàsi, direttore del centro di ricerca per i network complessi di Boston. Lui, fisico, è famoso in tutto il mondo per la sua Teoria delle reti: "Inconsciamente ognuno di noi osserva una enorme quantità di costrizioni che limitano la scelta di cosa, come e quando agire". E ognuno di noi lascia infinite (big) tracce (data) dei suoi spostamenti e comportamenti in rete. Navigando tra un sito e l’altro, o attraverso l’uso dei social network, le ricerche, le banche, le reti telefoniche.

Le tracce sono i dati che vengono rappresentati in strutture matematiche che, unite alle anticipazioni dei comportamenti, offrono la possibilità di formulare schemi previsionali utili per il marketing e per le vendite. Come? Con una tecnica molto semplice. Individuando gli "hub" (che possono essere indifferentemente cose o persone) cioè i punti di incontro e snodo in cui molti passano, come il Colosseo per i turisti a Roma; le azioni che la maggior parte dei politici compiono, come tornare a casa per vedere House of cards in tv; o individuare gli account di Twitter seguiti dalla maggior parte delle quarantenni italiane di ceto medio-alto, come quello di Selvaggia Lucarelli.

A quel punto basterebbe studiare i comportamenti regolari e agire sugli hub per orientare la rete: gestire gli orari del Colosseo sincronizzandoli con quelli di apertura dei ristoranti vicini; fare incontrare Papa Francesco e Frank Underwood (protagonista della serie House of cards) per incoraggiare comportamenti etici nei politici (e soprattutto evitare che un emulo sputi sul crocifisso come ha fatto lui nell’ultima serie); mettere le scarpe che volete lanciare per la prossima primavera-estate nella vetrina davanti a scuola del figlio della Lucarelli sperando che la blogger le veda e poi magari le acquisti, per influenzare tutte le altre a comprarle.

Le probabilità di ottenere il risultato sperato salgono; gli sprechi scendono. Nel caso di Barabàsi, un fuoriclasse, è stato facile cambiare le modalità di ricerca sul cancro come perfezionare la campagna di Obama per la presidenza degli Usa. I sindaci italiani e gli operatori, se informati, possono utilizzare i big data per orientare e attrarre i visitatori giusti per la loro città. "Continuamente generiamo i dati per studiare i flussi, la percezione e le scelte dei turisti" dice Euro Beinat, data scientist dell’università di Salisburgo che studia i flussi turistici delle città italiane "ogni anno e mezzo il volume di questi dati raddoppia. Con gli strumenti di data science possiamo analizzare i comportamenti collettivi per capire dove vanno e cosa visitano i turisti, come arrivano alle loro decisioni, in quali micro segmenti si organizzano e come parlano della loro esperienza".

La cosa più importante per le aziende è iniziare a cambiare la loro cultura. "Le decisioni e le informazioni dovranno inevitabilmente sposare un approccio più scientifico o moriranno" avverte Federico Pagani, amministratore delegato di Cgnal. Pagani insegna a manager e imprenditori come fare business utilizzando big data e algoritmi. Tra i suoi clienti grandi società telefoniche, compagnie assicurative e banche, che potrebbero offrire servizi nuovi ai loro clienti se sapessero usare meglio l’enorme quantità di dati che finisce nei server. L’importante è trovare le persone giuste. "Alcune aziende" spiega Pagani "iniziano assumendo un chief science officer, oppure inserendo consulenti che hanno già realizzato questi progetti".

La selezione di un buon analista è la chiave del successo. Bisogna cercare di non incappare in consulenti improvvisati, che magari sanno molto della teoria dei network ma non hanno mai sbattuto la testa nell’applicazione del metodo. "Perché il nuovo sistema funzioni ci vogliono consulenti informatici, statistici e gente che sappia poi operare praticamente sulle ultime tecnologie. Le imprese devono raggiungere in fretta la propria autonomia evitando di essere completamente dipendenti dal consulente". Se si sbaglia, non sarà colpa dei big data, che sono lì disponibili, ma di chi non ha saputo inserirli in azienda per creare vera innovazione.

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Barbara Carfagna