Barbie (ri)diventa sviluppatore informatico
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Barbie (ri)diventa sviluppatore informatico

Torna a galla una storia del 2010 in cui la bambola veniva descritta come un'informatica dipendente dagli uomini. E intervengono anche gli Anonymous

Cosa c'entra Anonymous con Barbie? Nulla se restiamo nell'ambito di un giocattolo per bambini, tanto se questo giocattolo diventa un simbolo dell'incapacità delle donne di relazionarsi al mondo dell'informatica. La storia è vecchia: nel 2010 Mattel realizza assieme alla casa editrice Random House il libro a fumetti "Barbie: I Can Be a Computer Engineer", ovvero "Barbie: posso essere un ingegnere informatico". A prima vista si potrebbe trattare di un modo rivoluzionario di considerare la bambola più in voga tra le bambine, considerata da sempre una sorta di riproduzione giocattolo di una spendacciona fashion californiana. Eppure, nonostante i presupposti del titolo, la storia va altrove, disegnando una professionalità totalmente diversa.

Una vicenda dopo l'altra, il racconto mostra un ingegnere informatico donna alle prese con alcuni problemi quotidiani, peraltro anche banali, come l'infezione di un computer tramite un virus presente su una penna USB. Il fatto è che per risolvere ogni dilemma Barbie finisce con il rivolgersi sempre ai colleghi maschi, ammettendo una certa incapacità nell'agire da sola. A distanza di quattro anni, la vicenda assume contorni globali grazie ad un articolo della giornalista di Mashable, Christina Warren, che ha scoperto il libro in casa di un'amica con figli e con il rilancio, su Amazon, della bambola prodotta per l'occasione.

Mattel

Ciò su cui il mondo delle programmatrici (quelle vere) ribatte è che le bambine non posso crescere pensando che una donna non possa relazionarsi alla tecnologia se non con l'aiuto degli uomini, che in realtà è ciò che parte della società odierna crede ancora (di recente Google è stata criticata per la bassa presenza di donne nei suoi team). Come fare per cambiare l'immagine raccontata dal fatidico libro? Non sono bastate le scuse della Mattel che, a distanza di anni, ha dichiarato che la Barbie raccontata dal libro non rappresenta l'immagine che ne fa l'azienda e neppure la spiegazione di Susan Marenco, autrice del racconto, che ha detto di aver scritto una storia in cui Barbie era una designer e non un'informatica. Alla fine la colpa dovrebbe essere della Random House che avrebbe cambiato titolo e alcune frasi per pilotare le vicende a proprio piacimento. 

A fare giustizia per la donna programmatrice c'ha pensato il sito "Feminist Hacker Barbie" su cui è possibile riscrivere "Barbie: I Can Be a Computer Engineer" per rendere la biondona statunitense molto più sicura di sé. Ognuno può "aggiustare" la storia a proprio piacimento (la parola inglese non a caso è "fix" usata proprio in gergo informatico) partendo dalle tavole reali di Marenco. Un sito che ha trovato l'appoggio non banale degli Anonymous che, dall'account Twitter, hanno lanciato l'hashtag #feministhackerbarbie invitando tutti a modificare il racconto. Magari la prossima Barbie potrà vestire una tuta spaziale e seguire le orme della nostra Samantha.

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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