Arriva il manuale per essere popolari e credibili sul web
Tecnologia

Arriva il manuale per essere popolari e credibili sul web

Blitzkrieg tweet di Francesco De Collibus spiega le tecniche per usare al meglio i social network e le forme innovative della comunicazione

Per quanto calzante, il termine viralità non lo entusiasma: «Qui non ci sono malattie da cui curarsi, ma forme innovative della comunicazione da comprendere e padroneggiare». Francesco De Collibus preferisce piuttosto le metafore belliche: il suo nuovo libro si chiama Blitzkrieg tweet (136 pagine, Agenzia X), dove il cinguettio è accostato alla tattica militare della Guerra lampo (in tedesco «Blitzkrieg», per l’appunto) e il sottotitolo continua sulla stessa falsariga, recita «come farsi esplodere in rete». Senza essere un manuale per aspiranti suicidi digitali, anzi, all'opposto, spiegando come guadagnare popolarità inviando messaggi forti, credibili, tramite internet: autentiche armi di informazione i cui effetti e le cui conseguenze vanno gestiti a dovere. De Collibus, una laurea in filosofia e una in informatica, esperto di social software e tra gli animatori del blog Spinoza.it, parte da un’evidenza: sul web e sui social network non valgono le regole tipiche degli altri media, non sono gli investimenti milionari a fare la differenza. Perciò con uno stile ironico ma sempre accurato racconta come chiunque possa imboccare le vie del successo o, comunque, le strade per ottenere visibilità. Il suo libro è «L’arte della guerra», trasferita in un universo incredibilmente magmatico e, allo stesso tempo, democratico: quello dei bit.      

In sintesi, su cosa si concentra il suo saggio?
Si parla dei messaggi in grado di conquistarsi un proprio pubblico e di farsi ritrasmettere esclusivamente in base alle caratteristiche della loro composizione. Non è un libro che tratta solo di Twitter, ma di come muta il pensiero umano in rete. I vecchi capisaldi della comunicazione e del potere sono simili alla colossale linea Maginot e possono essere aggirati e sconfitti attraverso un utilizzo accorto dei formidabili nuovi strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione.

I riferimenti militari nel testo abbondano. Come mai?
Il libro è scherzosamente un manuale di guerra sul web, quindi, a scopo puramente di metafora, abbiamo strutturato i contenuti seguendo questi paralleli. Perciò si parla di Blitzkrieg e di twittare come bombardare. Una metafora ha il potere di aiutarci a spiegare e quindi ci permette di farci capire.

Perché la dedica ad Aron Swartz? E ad Antonio Caronia?
Swartz è il santo laico patrono del libro. Da una nuvoletta ultraterrena di libertà digitali egli veglia su di noi e ci protegge mentre lottiamo per tenere la rete libera. Caronia è il maestro che ciascuno di noi rimpiangerà tutta la vita di non aver avuto, nume tutelare delle controculture milanesi e non. Antonio è venuto a mancare proprio mentre il libro si chiudeva, e ci sembrava doveroso ricordarlo.

Perché iniziare il libro con l'epilogo e chiudere con il prologo?
Perchè la rete è un percorso ininterrotto, privo realmente di un inizio, e di una fine. Le cose in rete non seguono le regole aristoteliche della narrazione, ma maturano come le forme organiche. Dobbiamo imparare a stravolgere il nostro punto di vista per interagire al meglio con la rete. Quindi ho ritenuto utile operare questo piccolo giochino di inversione. Si inizia con la fine del vecchio, si conclude con l'inizio del nuovo.

Con quali criteri ha scelto i cinguettii riportati nel testo?
Ho volontariamente selezionato episodi alti, famosi, celebri (come il caso della finta blogger lesbica a Damasco, o del regista di Kony 2012 Jason Russell) con altri meno celebri, e più quotidiani, di quelli che possono capitare a chiunque. La mia tesi di fondo è che le dinamiche in gioco, sia nei momenti alti che in quelli meno celebri, siano esattamente le stesse, e mi auguro che questi esempi lo dimostrino. In rete non c'è un alto e un basso, ma un continuo ripetersi di dinamiche sociali.

Facciamo qualche esempio pratico dei contenuti. È interessante la teoria del «follow the money». Ce la spiega?
In realtà è un concetto piuttosto di buon senso: se vuoi affermarti in qualsiasi campo devi  avere dei modelli da seguire, delle fonti di ispirazione che siano in grado di guidarti. «Follow the money» vuol dire che se vuoi diventare popolare in rete, ti conviene capire cosa ha fatto chi popolare lo è già. Senza scimmiottare le twitstar, bisogna però comprendere che i meccanismi che regolano la celebrità in rete, da Kim Kardashian fino al meno seguito degli account sono basilarmente le stesse.

Secondo lei che futuro c'è per Twitter? Come si evolverà?
Twitter è ormai insieme l'ufficio stampa del pianeta e uno strumento per creare eventi e aggregazione.Trovo difficile immaginare uno stravolgimento della piattaforma o una sua radicale evoluzione, anche se si continuano a fare  esperimenti, l'ultimo dei quali è il servizio di video Vine. Credo che il social network espanderà la propria base utenti e la propria adozione, ma resterà essenzialmente ciò che è ora.

E Facebook?
Facebook si sta muovendo per coprire una gamma di servizi sempre più completa. Ormai essere connessi su Internet vuol dire essere loggati su Facebook. Tuttavia credo che il suo core business resterà fornire e garantire identità digitali e trasferire reti sociali in differenti contesti applicativi.

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Come immagina saranno tra dieci anni le dinamiche della socialità in rete?
Se nel 2003 ci avessero descritto il mondo di oggi, saremmo sbottati in una sonora risata. Per citare il motto del Founders Fund di Peter Thiel: «We wanted flying cars, instead we got 140 characters» («volevamo macchine volanti, invece abbiamo 140 caratteri», ndr). Trovo che rispetto alle rivoluzioni che ogni giorno accadono in rete, il livello di riflessione sociale sia rimasto clamorosamente indietro. Questi saranno ricordati come gli anni più tumultuosi della storia umana, a livello di cambiamenti negli strumenti  e nella mentalità della comunicazione. Interfacce uomo macchina sempre attive come Google Glass offrono un buono spunto di come saranno questi strumenti social nel futuro a medio o lungo termine. Non saremo noi a essere su Facebook, o comunque si chiamerà in futuro questo strumento social. Sarà lo strumento social a essere sempre con noi e ad assisterci in tutto quello che facciamo.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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