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Amazon: tutti gli oggetti saranno connessi (a breve)

La tecnologia, e in particolare il cloud, offre già tutto quello che serve per mettere in atto la rivoluzione dell’Internet delle cose

L’era delle promesse è finita. L’Internet delle cose sta diventando una (bella) realtà. Basta andare su uno dei tanti siti dedicati all’argomento (ad esempio questo) per capire che c’è già un mondo, forse un Universo, fatto di oggetti connessi, più o meno utili, ma comunque già acquistabili.

L’impressione è che tutta l’industria tech abbia deciso di sintonizzarsi senza troppi indugi sulla stessa frequenza, quasi fosse consapevole che mai come in questo caso l’unione possa fare la forza. C’è spazio per tutti: produttori di hardware, chipset maker, softwarehouse, società di networking, pubbliche amministrazioni e ovviamente startup. Tutti, chi più chi meno, pronti a mettere in atto un’innovazione che secondo i dati Gartner nei prossimi cinque anni porterà 30 miliardi di oggetti connessi sul Pianeta.

Internet delle cose, Internet fra le cose
Marco Argenti, VP Mobile and IoT di Amazon Web Services (AWS) parla per esperienza: "Oggi quasi nessun produttore di oggetti può permettersi di fare un prodotto disconnesso o comunque senza alcuna proiezione verso il mondo dell’IoT, sarebbe come se un vendor di PC progettasse un computer senza accesso Internet". Non è solo una questione di opportunità, ci spiega il responsabile, il fatto è che mai come oggi le condizioni sono state così favorevoli per portare Internet a bordo di qualsiasi oggetto e qualsiasi processo.

Creare un oggetto connesso, insomma, non è mai stato così facile. Il che - si badi - non significa che sia sufficiente attaccare un modulo wireless a un frigorifero o a una macchina da caffè per fare un elettrodomestico intelligente. La vera sfida dell’IoT è un’altra: creare un ecosistema aperto in cui gli oggetti possano parlare la stessa lingua, e quindi dialogare fra di loro. oltre che con gli utenti.

Significa pensare a un’automobile che riesca a “vedere” le sue simili e la segnaletica stradale in mezzo alla strada per valutare automaticamente velocità e distanza di sicurezza; a un sistema di irrigazione capace di interfacciarsi con il servizio meteo per irrigare chirurgicamente nelle giornate in cui non piove; a uno spazzolino da denti che capisce quando viene utilizzato per inviare suggerimenti all'utilizzatore su come e perché migliorare la fatidica igiene orale.

Hardware, cloud e applicazioni: i tre livelli dell'architettura connessa
Se Internet rappresenta ovviamente il pilastro su cui si fonda l’essenza stessa dell’IoT, la possibilità di arrivare a un’orchestra ben accordata in grado di suonare lo stesso spartito è altra cosa. Per questo, servono almeno tre elementi chiave: un hardware intelligente, ovvero già predisposto alla nascita per connettersi a internet e dialogare con altri oggetti connessi, un’infrastruttura cloud in grado di abilitare la gestione del dato, e un’interfaccia che consenta all’utente di interagire con il prodotto.

Per quanto riguarda il primo aspetto vale la pena sottolineare i grandi sforzi compiuti da tutti i principali produttori di chipset. "Intel, Qualcomm, Broadcom, Mediatek dispongono ormai di schede integrate capaci di racchiudere al proprio interno tutto ciò che serve per dare intelligenza a un oggetto convenzionale, dalla CPU al comunicatore GSM, dal Bluetooth al Wi-Fi, dal Gps al modulo audio", puntualizza Argenti: "Con una scheda di questo tipo a bordo il dispositivo è già pronto a dialogare con connesso al cloud, dal momento che il software già nel chip"

Il cloud è invece l’elemento centrale per la gestione dei dati: "Avere un prodotto connesso non è di per sé significativo, occorre avere le idee chiare su cosa fare di questo oggetto, altrimenti è come avere fra le mani un PC dotato di una presa di rete. Chi vuole sfornare un prodotto IoT che sia utile oltre che connesso deve insomma sapere cosa fare con i dati che arrivano dal prodotto: il cloud si preoccupa di ricevere milioni di dati dal device e di filtrarli, di applicare cioè delle regole per poterli analizzare ed estrarre delle informazioni utili".

Una volta distillati i dati significativi, occorre fornire all’utente la possibilità di interagire con l'oggetto connesso e qui - di norma - entrano in scena le varie applicazioni che fanno capolino sul nostro telefono. "Il difficile", spiega Argenti, "non sta tanto nello sviluppare l’interfaccia per l’app ma nel gestire la complessità che scaturisce quando metto in contatto un device con le applicazioni; è il motivo per cui Amazon ha creato su un servizio - denominato Shadow - che consente all’applicazione di parlare con una sorta di rappresentazione virutale e semplificata del device, un’ombra appunto: l’app non deve più preoccupoarsi di come raggiungere il device o di capire il linguaggio parla, lo vede come oggetto semplificiato, un documento che ne descrive lo status. Si tratta in fin dei conti di analizzare la differenza fra ciò che vuole l’utente e lo stato effettivo del device.

I costi? Proporzionali al traffico (e al business generato)
Ok, ma quanto costa nel complesso creare un’infrastruttura del genere? I costi di una scheda hardware con tutti i chip e i sensori integrati è ormai nell’ordine di qualche decina di dollari, il resto è tutto cloud e servizi associati. Ma qui - interviene il responsabile Amazon Web Services - si segue un approccio pay-per-use: "I clienti pagano per quello che utilizzano realmente, in questo modo possono scalare l’infrastruttura in base al traffico, sia in alto che in basso. Significa ad esempio che è possibile creare un’app ed eseguirla sul cloud senza neanche preoccuparsi dell’esistenza di un service. Il costo è in base al tempo in cui l’app sta funzionando: se l’applicazione non viene utilizzata il costo è zero". 

Considerato che anche il server più piccolo costa più di zero, si capisce perché quasi tutte le aziende - dalla piccola startup alle grandi multinazionali della finanza - stiano sempre più dirottando la spesa per l’infrastruttura It sulla nuvola di Internet.

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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