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Gratta e Vinci, tutti i segreti nascosti dentro un biglietto

Le tecnologie per stamparli, gli ossessivi test d'integrità e gli altri accorgimenti che rendono sicura la più grande lotteria al mondo

da Lakeland (Florida)

Gli hacker del Gratta e Vinci non sono criminali, ma un incrocio tra un piccolo chimico e un torturatore seriale. Hanno l’aspetto ingannevole di due ragazze sorridenti, che nel tempo di un attimo, smaltiti i convenevoli, si rivelano spietatamente agguerrite. Bersagliano i biglietti di luci possenti, tradizionali e ultraviolette, per accertarsi che sia impossibile leggere in trasparenza tra i 22 strati d’inchiostro che li compongono; li bombardano con scariche elettriche violente e composti di reagenti per controllare che la parte da grattare non si alteri, non si sciolga né si dissolva. Nemmeno se sottoposta a esperimenti di manomissione geniali oppure brutali.

Queste tenaci ispettrici in maglietta lavorano in turni da quattro nelle stanze dell’«integrity lab», etichetta traducibile in maniera parecchio evocativa: il laboratorio dell’integrità. È operativo 24 ore su 24, sette giorni su sette, Natale e Ferragosto inclusi. Culla un’ossessione scolpita nel numero più tondo che esista: lo zero. È la quota di difetti concessi ai pacchetti dei tagliandi appena stampati, che ricevono (anzi subiscono) 54 test per validarne l’inviolabilità, la resistenza a qualunque tentativo di contraffazione, assieme alla giocabilità e alla durabilità. Per esempio, vengono irrigati di birra o vanno a fare un giretto in lavatrice. Perché no, non c’è limite alla nostra distrazione. Ma sì, dopo tutto questo strapazzo, sono ancora incassabili. Se volete provare, però meglio credere.

Siamo a Lakeland, in Florida, ai margini di una pianura d’asfalto spessa otto corsie che collega Tampa con Orlando, lungo un paesaggio tropicale interrotto dai capannoni ultramoderni di Amazon o di Pepsi. Ci troviamo in un luogo in cui il solito patriottismo americano è costretto a indietreggiare: accanto all’immancabile bandiera statunitense, ecco sventolare quella tricolore. Lo stabilimento appartiene a IGT, colosso di proprietà italiana: «È il più grande gruppo mondiale nel campo dei giochi e delle lotterie, forte di un know-how che abbiamo portato anche all’estero» riassume Marzia Mastrogiacomo, senior vice president Lotteries.

Non si tratta del vecchio furbo stratagemma di delocalizzare parte della produzione, bensì della logica d’affidarla a un centro d’eccellenza globale. Aperto dal 2009, rinnovato e ampliato nel 2018, reclama il suo angolo di gloria nel Guinness dei Primati: contiene la più grande macchina da stampa per tale tipologia di prodotti. Un bestione che non riposa mai ed è in grado di sfornare 15 miliardi di tagliandi l’anno, ruminando rotoli di carta dalla stazza impressionante e la lunghezza esagerata: ognuno, da disteso, misura circa 11 chilometri. Lo stabilimento ha 55 clienti sparsi in mezzo pianeta e, di recente, ha vinto l’Oscar del settore, quello conferito dalla Flexographic Technical Association di New York. Non per la migliore interpretazione nel partorire biglietti, ma per il suo elevato tasso di sostenibilità. A Lakeland hanno smesso di usare inchiostro a base di solventi, puzzolente quanto inquinante, virando verso un sistema ad acqua. Inodore, che rispetta l’ambiente senza compromettere la sicurezza delle lotterie, come i test ai confini della realtà certificano giorno e notte.

A proposito di numeri altisonanti, il Gratta e Vinci fa concorrenza allo strumento gigante da cui proviene: «È la più grande lotteria al mondo in termini di raccolta. Parliamo di 9,1 miliardi di euro nel 2017 e 9,2 miliardi nel 2018. Di questi, oltre il 73 per cento torna ai giocatori» sottolinea Mastrogiacomo. Che ricorda anche il contributo di cui beneficia lo Stato, dunque tutti noi in termini di servizi pubblici finanziati da tale flusso di denaro: «Le entrate erariali sono passate da meno di 100 milioni di euro nel 2003, a 1,3 miliardi nel 2018. Se consideriamo il periodo 2004-2018, parliamo di circa 20 miliardi». È l’esito di uno sviluppo graduale, portato avanti con criterio, tenendo conto di vari fattori, incluso l’elemento più delicato: il gioco è rigorosamente vietato ai minori e in alcuni soggetti può creare dipendenza. «Le politiche di prodotto e commerciali sono state sempre valutate con sensibilità per garantire una crescita socialmente sostenibile» risponde sul punto Mastrogiacomo. «A conferma di ciò va evidenziato come il Gratta e Vinci si sia allineato immediatamente alle nuove normative che nel corso degli anni hanno reso più preciso l’ambito del gioco responsabile. E Lottomatica, con il codice etico di condotta di cui si è voluta autonomamente dotare, in alcuni casi ha persino anticipato specifiche modifiche normative».

Quello del Gratta e Vinci rimane dunque un fenomeno peculiare, dalla portata innegabile. Panorama ha avuto l’opportunità di sbirciare dietro le sue quinte e guardarci letteralmente dentro. Con qualche fatica e difficoltà, visto che gli addetti alla sicurezza qui hanno la stazza di Rambo e il puntiglio di Robocop; il minimo cantuccio della fabbrica è sorvegliato da 95 telecamere, a loro volta ansiosamente piantonate da un ufficio parallelo in Texas e alimentate da generatori che continuano a funzionare in caso di blackout, tsunami, terremoti o altri disastri. Il gabbiotto dei vigilanti è blindato da uno strato di metallo sul soffitto, così nessun aspirante Tom Cruise può tentare la mission impossible d’infiltrarsi dall’alto, mentre un intricato sistema d’autorizzazioni determina chi può essere dove e fa suonare l’allarme se qualcosa non torna. «In dieci anni, non abbiamo registrato nessuna violazione ai nostri protocolli» ripetono i responsabili con la stessa fierezza sentita poco prima nel laboratorio.

D’altronde, ogni tagliando equivale a un contenitore di fortuna, perciò è prezioso quanto un assegno circolare o del denaro contante. Ecco perché nasconde una ragnatela di filigrane al suo interno simili a quelle delle banconote, che impediscono ai malintenzionati di ritagliarne pezzi da uno e dall’altro per comporre un puzzle vincente. I falsi non verranno pagati, quindi ha senso comprare i Gratta e Vinci soltanto da rivenditori che si riforniscono direttamente da Lottomatica: ecco, mai accettare un biglietto da uno sconosciuto. E comunque, c’è una ragione per cui tabaccai e dintorni non devono mai improvvisarsi agenti della polizia scientifica e sezionare tentativi d’imitazione sospetti per mascherare le truffe: se un biglietto dà diritto a un premio, è scolpito nel codice a barre che l’accompagna. La sequenza equivale a una cassaforte di cui solo il cervellone informatico di Lakeland conosce la combinazione non indovinabile. Già, è milioni di volte più complessa di una lunga password alfanumerica per entrare nella posta o nel conto in banca. E poi il supercomputer non è connesso a internet, per rimanere immune agli attacchi degli hacker, quelli veri.

È questo raffinato software, mai un essere umano, a decidere quali sono i biglietti fortunati e a spargerli nei pacchetti spediti in Italia e a loro volta inviati alle varie regioni. Passateci il termine pesante quanto un mattone, siamo di fronte a una randomizzazione controllata. Significa che il programma distribuisce le vincite a caso, spalmandone nel tempo. O meglio frazionandole in base ai cicli di stampa che, sommati, compongono un’intera lotteria. Così si evita che i premi compaiano tutti in una volta in pochi pacchetti, lasciando moltitudini di giocatori a bocca asciutta. È una delle tante garanzie di qualità fornite da Lottomatica, «che portano» ricorda Mastrogiacomo «enormi benefici in termini di sviluppo del mercato legale e della relativa emersione dall’illegalità di parti significative della raccolta di gioco».

Girovagando per la fabbrica di Lakeland, oltre a prendere confidenza con gli ingranaggi del presente del Gratta e Vinci, se ne può intuire il futuro. Sbirciando per esempio tra i tagliandi stampati per gli altri Paesi, decisamente più eccentrici di noi: ci sono i biglietti che odorano di menta, pancetta, salse messicane e gomma da masticare; altri che stuzzicano le dita con rilievi glitterati e deliri policromatici. Un trionfo di fisicità che profuma, anche, di passato. Rappresenta una resistenza analogica, non grattabile via dall’unghia del tempo: «Dieci anni fa si pensava che questi prodotti sarebbero scomparsi o si sarebbero trasferiti nel mondo digitale. Invece sono ancora qui, il valore del loro mercato mondiale è raddoppiato e per i prossimi dieci anni mi aspetto un’ulteriore crescita» prevede il grande capo della struttura, il general manager Keith Cash (mai cognome fu più adatto al contesto).

La ragione di tanto successo coincide con la loro materialità. «Si possono toccare, giocare subito o rimandare il momento» spiega Cash: «L’esito resta comunque predeterminato, però è celato. C’è sempre qualcosa di magico nascosto dentro un’incertezza».

La fabbrica del Gratta e Vinci

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Le due grandi macchine che stampano i biglietti. A destra e a sinistra, si scorgono gli enormi rotoli su cui viene impresso l'inchiostro.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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