Fortnite: ecco perché vostro figlio non ne può fare a meno
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Fortnite: ecco perché vostro figlio non ne può fare a meno

È il gioco del momento su console, telefoni e pc, e i ragazzi passano ore a giocarci, sterminando gli avversari. Piccola guida per genitori perplessi

Secondo gli analisti del settore è il più grande gioco gratuito per console di tutti i tempi, in termini di entrate generate e utenti attivi mensilmente. Parliamo di Fortnite, il videogioco sparatutto in compagnia del quale sono quasi sicura che i vostri figli passino buona parte dei loro pomeriggi: il mio lo fa. È il fenomeno del momento. Secondo la società di ricerca Super Data, il gioco ha generato 223 milioni di dollari su tutte le piattaforme (console, PC, dispositivi mobili) a marzo, con un aumento del 73% rispetto a febbraio. E nella nuova stagione, cominciata a inizio maggio con l’impatto di un meteorite sull’isola dove si svolge l’azione, c’è da scommettere che i giocatori (e i guadagni) siano ulteriormente aumentati. I giornali americani hanno addirittura cominciato a pubblicare i primi interventi di psicologi che spiegano ai genitori come affrontare la "dipendenza" da Fortnite dei propri figli. 

Fortnite è una presenza costante a casa vostra? Vostro figlio, dalle medie all’università, ne è ossessionato? Quando non è attaccato a uno schermo a giocarci, gira per casa facendo strani balletti che a volte assomigliano dolorosamente a mosse da disco music anni Settanta? Niente paura: ecco quello che dovete sapere per non restare completamente tagliati fuori dalla vita dei vostri ragazzi.

Hunger games a cartoni

Si parte in 100, catapultati su un’isola piena di insidie, nella quale si svolgerà una battaglia tutti contro tutti. Vince l’ultimo che resta in piedi, proprio come nella saga, letteraria e poi cinematografica, The hunger games. L’importante è sopravvivere, con ogni mezzo, e per farlo è necessario sostanzialmente sterminare tutti gli avversari. Per raggiungere lo scopo si può scegliere se giocare da soli, in coppia o in squadre di massimo quattro giocatori, scelti fra i propri amici oppure incontrati all’interno del gioco.

I giocatori possono comunicare tra loro usando cuffie e microfono. Siccome Fortnite è popolare in tutto il mondo, capita di finire in squadra con gamer di altri paesi. Ecco il primo aspetto positivo della passione sfrenata che i ragazzi hanno per il gioco: spesso sono costretti a parlare in inglese con i loro compagni. Sono le occasioni nelle quali ho visto mio figlio quattordicenne fare i maggiori sforzi per capire e farsi capire nella lingua che studia a scuola da 8 anni. A proposito, i produttori di cuffie ringraziano, dal momento che hanno visto salire i loro introiti di oltre il 700% in un anno, in gran parte proprio grazie alla popolarità di questo gioco.

Si arriva sull’isola armati solo di un piccone, che serve per procurarsi tutto il resto: materiali per costruire barriere o edifici, armi e munizioni contenute in bauli sparsi sul terreno. Mentre la modalità offline del gioco è a pagamento, quella online, Battle Royale, di gran lunga più popolare, è gratuita. A sentire chi ci gioca, il successo della versione online non è dovuto tanto al fatto che sia gratis, quanto alla modalità di gioco che è, apprendo dall’esperto di casa, pvp, cioè player versus player. Insomma invece di giocare contro il computer, in qualunque partita di Fortnite Battle Royale si gioca contro persone reali, sparpagliate nel mondo e collegate tutte nello stesso istante.

La violenza è un tratto distintivo di Fortnite, insieme alla tattica e alla capacità di fare gioco di squadra. L’importante è “fare le kill”, cioè far fuori gli avversari. Per fortuna tanta aggressività è almeno in parte mitigata da una grafica che al realismo predilige le atmosfere da cartone animato. Inoltre il tono generale è piuttosto ironico e sornione: altro motivo per il quale secondo me il gioco ha successo tra ragazzi di diverse età. Un altro aspetto positivo per i giocatori è che le partite non durano mai troppo: puoi crepare anche dopo solo 30 secondi, ma se sopravvivi fino all'ultimo la cosa si chiude comunque in una ventina di minuti al massimo. 

Tutto ha un prezzo

Mio figlio è orgoglioso di dire che questi quattro mesi di partecipazione al gioco (lo ha scoperto a gennaio) non gli sono costati un euro. Quello che intende è che non sono costati a me, che sarei poi la titolare della carta di credito dalla quale verrebbero prelevati i soldi necessari per procurare tutti gli extra che si possono acquistare all’interno di Fortnite. Il principio con cui Epic Games fa i soldi è infatti lo stesso con il quale guadagnano tutti gli sviluppatori di giochi per smartphone: l’applicazione è gratis, ma al suo interno si può comprare di tutto.

Mosse di ballo (quando uccidi qualcuno puoi esultare ballando), picconi più efficaci di quello base in dotazione, costumi, anche detti skin, paracadute, scie di vari colori (sono quelle che il corpo del giocatore lascia nel cielo quando viene paracadutato sull’isola), graffiti (è possibile colorare le pareti degli edifici con disegni fatti con lo spray). Se la mamma non ti finanzia l’acquisto di una skin, a ogni nuova partita ti verrà assegnato un personaggio a caso scelto tra sei, 3 uomini e 3 donne. Quindi anche se sei un maschio potresti avere sembianze di donna e viceversa. Ma il viceversa è molto più raro perché la stragrande maggioranza dei giocatori sono comunque maschi.

Cosa vince chi resta in piedi per ultimo? Un sacco di punti, che lo fanno avanzare di livello e ottenere varie ricompense. Si può accelerare il procedimento comprando dei pacchetti che consentono di salire di parecchi livelli e ottenere un bottino di appetibili ricompense. Insomma la scorciatoia c’è, ma costa.

Guardo gli altri giocare

Se c’è un aspetto che lascia perplessi anche i genitori più comprensivi rispetto alla passione videoludica dei figli, magari perché anche loro hanno passato buona parte della propria adolescenza chiusi in una stanza buia a manovrare Lara Croft o chi per essa, è la faccenda del gameplay in streaming.

In pratica molti giocatori sono così appassionati che passano parecchio tempo a guardare altra gente che gioca, in tempo reale, in streaming, su YouTube o su Twitch, piattaforma di livestreaming di Amazon. In Italia la star è Cicciogamer89 (2,5 milioni di iscritti al suo canale, più di 40mila spettatori collegati live nello streaming che ho guardato io). Negli Usa c’è Ninja, “giocatore professionista” con oltre 11 milioni di iscritti al canale, il mio 14enne mi assicura che è tra i migliori del mondo.

I gamer professionisti guadagnano anche grazie alle donazioni dei loro fan e spettatori: chi manda soldi viene citato e ringraziato con apposite iconcine durante le dirette di gameplay. E poi non venitemi a dire che per ogni posto di lavoro che scompare a causa dell’automazione non se ne crea un altro al quale non avremmo mai lontanamente pensato.

Popolarità alle stelle

Capisci che un videogioco passa dall’essere semplicemente popolare al diventare un vero fenomeno globale, quando ovunque ti giri lo ritrovi in riferimenti e citazioni. Per esempio alcune stelle dello sport hanno cominciato a esultare in campo per un punto segnato ballando un balletto di Fortnite, come i calciatori Antoine Griezmann, dell’Atletico Madrid, e Dele Alli del Tottenham, che amano il balletto “take the L”, la L di loser che vuol dire perdente, o il pugile Teófimo López, e il motociclista Marc Marquez, che dopo aver tagliato per primo il traguardo a Jerez de la Frontera si è esibito in uno dei balletti di Fortnite, il floss, in piedi sulla propria moto ancora in corsa.

Adesso c’è perfino un’università dell’Ohio, la Ashland University, che offre una borsa di studio da 4mila dollari, su una retta annuale che ne costa 31mila, a studenti che eccellono nel giocare a Fortnite. Anche se può sembrare solo una mossa furba per farsi pubblicità da parte di un ateneo poco blasonato, Ashland è in buona compagnia nel suo programma di scholarship per gli esports (cioè sport digitali), dal momento che anche la ben più nota University of California-Irvine già da due anni ha messo in piedi una simile iniziativa dedicata ai giocatori di League of Legends, seguita da un’altra borsa di studio per chi gioca a Overwatch.

Più umano, più vero

Concludendo, ho capito che le motivazioni per le quali mio figlio ama Fortnite non hanno niente a che vedere con la violenza e l’alienazione che per me rappresentava, insomma con l’idea che me ne ero fatta lanciando qualche sguardo obliquo allo schermo e sentendolo sbraitare istruzioni incomprensibili nelle cuffie. Per me l’idea che un videogioco non si possa giocare insieme a un amico stando seduti uno accanto all’altro su un divano era quanto di più straniante potesse esserci. Per lui è invece bello avere la possibilità di giocare con gli amici anche se sono in posti diversi, collegandosi tutti nello stesso momento al gioco.

Giocare con estranei che magari si trovano all’altro capo del mondo? Orrore e pericolo! E invece pare che sia anche questo parte del fascino del gioco: “incontrare” altri giocatori, doverli conoscere, parlare con loro in una lingua comune, capire in che cosa sono bravi e quali sono le proprie capacità che si possono mettere a disposizione del gruppo. Fucili a pompa, granate, pistolame di tutti i generi? Sì, tutto questo e molto altro è fondamentale per vincere, ma alla fine la testimonianza più tangibile del fatto che mio figlio giochi a Fortnite è che quando pensa di aver vinto in una discussione madre-figlio, mi balla davanti mettendo due dita a forma di L sulla fronte. Irritante, certo, ma tutto sommato non-violento.

Per il resto valgono i consigli di sempre: interessarsi a quello che fanno, capire come funziona, monitorare l'uso e mettere dei limiti temporali. Imparare qualche balletto è un optional che può sempre tornarvi utile.

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Marta Buonadonna