Effetto Streisand: mai svegliare il can che blogga
Matthew Inman - TheOatmeal
Tecnologia

Effetto Streisand: mai svegliare il can che blogga

Il sito umoristico TheOatmeal è stato denunciato per diffamazione. In poco più di un giorno i suoi utenti hanno donato oltre 140.000 dollari. L'ennesimo caso di Effetto Streisand

Matthew Inman è un mattacchione, ha talento da vendere nonché una naturale inclinazione al sarcasmo e alla beffa arguta. Matthew Inman ha un sito, TheOatmeal (se non lo conoscete fateci un salto, fa sbellicare), dove periodicamente pubblica fumetti, disegni e gag umoristiche. Tecnicamente, Matthew Inman è un Web Comedian, ossia uno che passa il tempo a creare contenuti divertenti che poi si diffondono come virus in tutta la Rete. Matthew Inman però ha anche un’altra caratteristica: non la manda a dire, e questo a volte lo porta a ficcarsi nei pasticci. Qualche giorno fa, ad esempio, gli è stato chiesto di risarcire una supposta calunnia con 20.000 dollari.

Ecco com’è andata: un anno fa, Matthew Inman venne a scoprire che il portale FunnyJunk stava pubblicando immagini e fumetti presi da TheOatmeal senza averne il permesso e senza indicarne la provenienza. Com’è solito fare, Inman ha riportato la cosa sul suo sito, corredando la notizia con i link delle immagini “rubate” dal suo sito e di quelle prese da altri simili al suo, accusando sostanzialmente FunnyJunk di sfruttare il lavoro altrui per vendere inserzioni pubblicitarie. Qualche giorno fa, a un anno di distanza, Inman ha ricevuto una lettera di diffida da FunnyJunk che gli imponeva di rimuovere ogni riferimento al portale e di pagare un’ammenda di 20.000 dollari.

Ecco, nel caso vi stiate chiedendo cosa c’entri Barbra Streisand con tutto questo, fate attenzione, perché è a questo punto della storia che si scatena il famigerato Streisand Effect. Come vi dicevo, Matthew Inman è un mattacchione, perciò, invece che arruolare un avvocato e cominciare a dare battaglia, ha fatto quello che gli viene meglio: ha creato un post sul suo blog dove sbeffeggiava i grulli di FunnyJunk, elencando nel contempo con precisione tutti i suoi contenuti che ancora erano illecitamente ospitati dal sito. Poi, siccome Inman la vendetta la serve calda, ha annunciato che i 20.000 dollari li avrebbe davvero raccolti, ma solo per donarli alla National Wildlife Federation e alla American Cancer Society. All’amministratore del sito FunnyJunk invece ha mandato un disegno, raffigurante la madre dell’amministratore intenta a sedurre un orso Kodiak.

Qualche ora dopo, la notizia aveva fatto il giro del web, migliaia di messaggi di solidarietà avevano intasato il sito TheOatmeal e FunnyJunk era automaticamente diventato lo zimbello della Rete. La raccolta fondi che Inman aveva attivato su IndieGoGo ha raggiunto in poche ore il traguardo dei 20.000 dollari, un bottino che ancora oggi, a due giorni di distanza, continua a crescere superando ormai i 140.000 dollari.

Quello che è successo è l’equivalente 2.0 di sferrare un calcio a un nido di vespe: tenti di usare le maniere forti per tappare la bocca a qualcuno in Rete? In men che non si dica ti ritrovi contro l’intero web.

Se si chiama Effetto Streisand è perché uno dei primi casi simili ha interessato proprio Barbra Streisand. Nel 2003, il blogger Michael Masnik pubblicò sul sito Pictopia.com un’immagine che inquadrava una villa in una regione costiera della California. La casa era di Barbra Streisand. Furiosa all’idea che la propria privacy potesse essere anche solo sfiorata dalla curiosità del pubblico web, la Streisand denunciò il blogger e Pictopia chiedendo la bellezza di 50 milioni di dollari. Detto fatto: appena la notizia della denuncia è stata resa pubblica la foto della casa della star ha fatto il giro del Web, ricevendo mezzo milione di visualizzazioni in un solo mese.

La lezione bastò alla Streisand, ma non bastò a mettere in guardia tutti quelli che dal 2003 a oggi hanno cercato di mettere la mordacchia alla Rete a colpi di carte bollate. È il caso di Scientology, che nel 2008 cercò di far rimuovere da Wikipedia alcune pagine riguardanti la chiesa, con il risultato che a Wikipedia cominciarono a interessarsi visceralmente alla questione Scientology pubblicando nuove pagine sull’argomento.

Tra i casi italiani uno dei più interessanti ha riguardato un piccolo blogger, Samuele Riva, che nell’agosto del 2011 ebbe l’ardire di pubblicare un post in cui denunciava la sostaziale infondatezza scientifica dei rimedi omeopatici. A pochi giorni dalla pubblicazione del post, Riva ricevette una lettera di diffida da Boiron in cui si chiedeva al provider non solo di rimuovere ogni riferimento all’azienda, ma anche di bloccare l’accesso al sito al blogger in questione (Samuele, unico autore del blog). In poco tempo la notizia si diffuse nel Web portando centinaia di blogger, giornalisti e utenti a esprimere solidarietà nei confronti di Riva e scatenando critiche furenti nei confronti dell’azienda francese. La faccenda finì addirittura sul British Medical Journal.

Se da tutto questo si può apprendere una lezione è che in Rete le tradizionali vie di risoluzione dei contenziosi (e di intimidazione) hanno il respiro corto. Perciò, se vi sentite in qualche modo offesi, calunniati o oggetto di disinformazione per opera di un blogger, forse è il caso che vi dedichiate a preparare e ad argomentare una risposta valida, prima di timbrare costose (e pericolose) carte bollate.

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Fabio Deotto