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Tecnologia

Perché siamo tutti "tecno ubbidienti"

Ci circondiamo di oggetti che di dicono di dimagrire, dormire, fare attività fisica, lavarci (bene) i denti. E li sopportiamo in silenzio

Scegliendo un plurale un poco inquietante, una schermata rossa esorta a cominciare: «Lavati i denti come se non ci fossimo». Premiamo l’unico pulsante sulla sua superficie bianca e lo spazzolino intelligente prende a vibrare. Intanto, sullo schermo dello smartphone a cui l’aggeggio è collegato senza fili, una rotellina gira paziente su sé stessa mentre proviamo a dare il nostro meglio, strofinando fino agli angoli più remoti della periferia delle gengive. Nell’istante esatto in cui abbiamo terminato, il responso compare sul display del cellulare: i 97 secondi impiegati sono pochi. «Si può fare di meglio!» bacchetta la app: «I dentisti raccomandano di spazzolare per due volte al giorno per almeno due minuti». Non è ancora nulla, scopriamo che siamo degli inetti, dei dilettanti dell’igiene orale. Abbiamo coperto appena il 54 per cento di molari, canini e dintorni. Il software ci mostra i denti interi e le porzioni ignorate, poi ci rassicura con il solito grave plurale: «Siamo qui per aiutarti!». E via eccoci a digerire filmati, brevi corsi intensivi, disvelamento di tecniche e segreti ancestrali per una spazzolatura perfetta. Sempre sotto l’occhio solerte di questi invisibili grandi fratelli della bocca, decisi a farci «sviluppare solide abitudini sul lungo termine». La fascinazione di un linguaggio a metà tra il burocratico e il medicale, va ammesso, è irresistibile.

Lo spazzolino è solo il complice di un assedio: siamo circondati. La bilancia «smart» ci inchioda al senso di colpa, ci fa pesare ogni grammo della pizza spazzolata la sera prima dopo un magro tentativo di dieta. Inquieti e schizofrenici come i grafici delle azioni in borsa, sventola sotto il naso i picchi siderali della massa grassa e l’assottigliamento di quella muscolare. Il braccialetto che sonnecchia al polso si desta, si agita, ci picchietta vibrando se stiamo troppo a lungo seduti. Indossarlo durante un volo intercontinentale diurno significa maledirlo puntualmente ogni sessanta minuti, specie se siamo a fatica riusciti ad abbracciare Morfeo stordendoci di melatonina, sonniferi, vino scadente già a mezzogiorno. E se tenere un oggetto sempre al braccio può risultare scomodo, niente paura: a San Francisco, in California, se ne sono inventati uno con le medesime funzioni del braccialetto che ha la leggerezza e la praticità di un anello. Si chiama «Motiv», ci motiva via dito, è l’ennesimo esponente di questa catena di pungoli per la mente e per il corpo.

Siamo cresciuti, ci siamo affrancati dalla mamma ipocondriaca e rompiscatole che vagheggiava il nostro poco dormire, il nostro mal mangiare, la nostra scarsa propensione all’igiene orale, per consegnarci a macchine saccenti e petulanti che lo certificano con precisione matematica. Lo sanciscono con la limpidezza dei numeri, lacrimando e gridando raccomandazioni dal cellulare. Il tutto a fin di bene, il nostro bene. Lo stesso che perseguivano i nostri genitori.

La ragione di tanta deferenza di fronte questa tirannide contemporanea, la spiega un articolo del quotidiano britannico The Guardian dal titolo: «Come la tecnologia ci tiene agganciati». La sintesi sta in una frase: «Il brivido di un feedback positivo». Siamo diventati dipendenti dai «mi piace» sui social network, andiamo costantemente a caccia di gratificazioni digitali per il nostro agire. Questi dispositivi le dispensano con generosità, puntando sulla nostra regressione allo status di figli insicuri, docili, a caccia grossa d’affetto. Anche facendo leva sulla cosiddetta «gamification», trasformando la disciplina in un gioco a premi. Capace di elargire distintivi (dal valore nullo, se non psicologico) che compaiono sul display a ogni traguardo raggiunto.


«Mirror», uno specchio con schermo incorporato che ha invaso con le sue pubblicità la metropolitana di New York, va persino oltre: osserva i nostri allenamenti tramite una telecamera sulla sua superficie e, se abbiamo eseguito bene gli esercizi, ci fa i complimenti. Non con una scritta a effetto o con una medaglietta di bit, ma tramite un bellimbusto virtuale molto palestrato che, entusiasta, afferma: «Oggi hai fatto un eccellente lavoro». Una sublimazione smaterializzata di una pacca paterna sulla spalla. E non possiamo nemmeno sostenere che, a differenza dei genitori, queste tecnologie non ci sappiano punire: da poco tempo gli smartphone e i tablet della Apple danno modo di impostare tetti d’utilizzo quotidiani dei vari programmi installati a bordo, dai giochi ai social network. Se eccediamo, quei servizi si oscurano, non sono più disponibili. Il blocco è ovviamente reversibile, ma quando lo aggiriamo viene implicitamente sottolineata la nostra mancanza d’autocontrollo. Come quando eravamo sorpresi da nostra madre a rubare una merendina dalla dispensa o a giocare a un videogioco nonostante un divieto.

Anche Google ha presentato sull’ultima versione di Android funzioni analoghe di «digital wellbeing», di benessere digitale: il vecchio lucchetto sul telefono a disco per evitare che i ragazzi facessero chiamate non autorizzate, traslato nell’epoca dei telefonini e ancorato con un timer alle loro applicazioni. Dal Canada arriva infine una perversa evoluzione della tecnologia rompiscatole: si chiama «Mindset» ed è una cuffia con isolamento dal rumore incorporato. Funzione preistorica, cui sono stati aggiunti cinque piccoli sensori che eseguono un encefalogramma perenne, sorvegliando le nostre onde celebrali. Così il dispositivo è in grado di capire quando siamo concentrati sul compito che stiamo svolgendo o se ci siamo distratti: in quel caso arriva alle orecchie un suono che invita a riprendere il lavoro o lo studio. Il paragone non è forzato: è come se una madre ci stesse addosso mentre siamo in ufficio o sui libri, molestando i timpani con un campanello se guardiamo altrove, se un pensiero estraneo minaccia la nostra produttività. I primi esemplari saranno spediti a inizio 2019, hanno raccolto in prevendita oltre 1 milione di dollari da 5 mila esaltati che non vedono l’ora di farsi leggere nella testa per tenersi in riga. Concedendo a un accessorio tecnologico, per l’ennesima volta, la licenza d’indirizzare il libero arbitrio, correggere l’autodeterminazione, sanzionare un grande piacere umano: il gusto della disobbedienza.

(Twitter: @MarMorello)

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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