Perché Facebook non farà guerra a Donald Trump (né a qualsiasi altro candidato)
Matt Johnston
Social network

Perché Facebook non farà guerra a Donald Trump (né a qualsiasi altro candidato)

Per difendere i propri interessi, Mark Zuckerberg ha bisogno sia dell'appoggio dei democratici che dei repubblicani, Trump compreso

Se qualcuno davvero spera che Facebook, o anche solo Mark Zuckerberg, prenda ufficialmente posizione contro un candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America, farebbe bene a mettersi l’animo in pace. Non accadrà mai, e il motivo è piuttosto semplice: non se lo può permettere.

In queste ore sta facendo scalpore la notizia secondo cui 61 dipendenti Facebook avrebbero raccolto firme per convincere i piani alti di Menlo Park a impegnarsi attivamente a contrastare la corsa alla presidenza di Donald Trump. In realtà, le cose non stanno esattamente così. Ecco cos’è successo: ogni settimana i dipendenti di Menlo Park si consultano attraverso un questionario interno sulle problematiche da porre all’attenzione di Mark Zuckerberg. A inizio marzo, in uno di questi questionari, tra le risposte più gettonate figurava Che tipo di responsabilità dovrebbe assumersi Facebook allo scopo di arginare la corsa di Donald Trump alla presidenza nel 2017?

La cosa si sarebbe spenta in sordina se solo Mark Zuckerberg, durante la scorsa F8 Developer Conference, non avesse espresso considerazioni che sembravano proprio essere indirizzate a Donald Trump, accennando a “persone spaventose che chiedono di innalzare muri e tenere a distanza persone considerate diverse.” È chiaro che Zuckeberg abbia lanciato consapevolmente una frecciata a Trump e al suo elettorato, ma quella frase era inserita all’interno di un discorso più ampio, che riguardava più la libera circolazione di informazioni in Rete che le politiche sull’immigrazione. Ma soprattutto, il CEO di Facebook si è guardato bene dal nominare Trump, il che non è un caso.

L’idea che poiché Facebook, a parole, promuove la cultura vagamente progressista che da sempre contraddistingue la Silicon Valley, allora farà di tutto per favorire un candidato progressista nella corsa alla Casa Bianca, non è solo sbagliata, è pure ingenua. Facebook è prima di tutto un’azienda, quotata in borsa oltretutto, e per quanto non possa piacere a molti, il suo primo obiettivo è difendere i propri interessi. Per averne la certezza basta vedere dove finiscono i soldi che ogni anno spende in lobbying, e soprattutto, quale partito politico abbia finanziato nelle scorse elezioni.

Stando ai dati raccolti a suo tempo da CNN-Money, per le elezioni del 2012 Facebook ha destinato più fondi ai Repubblicani (140.000 dollari) che ai democratici (127.000). Questo non significa che Zuckerberg predichi da democratico e razzoli da repubblicano, il punto è un altro: il bilancio di Facebook dipende anche dalle leggi che vengono approvate o bocciate dal Congresso americano, e per fare in modo che i politici eletti remino secondo la sua corrente, è costretto a farsi “amici” su entrambe le sponde.

In questo senso, muovere battaglia a Trump sarebbe controproducente, e non tanto perché il magnate newyorchese rischi di vincere la presidenza, quanto perché, di fatto, è l’esponente di un partito che per Facebook è e rimarrà prezioso.

Ma poniamo anche che Zuckerberg di punto in bianco decida di improvvisarsi paladino democratico, cosa potrebbe fare per arginare la campagna di Trump? Praticamente nulla, se non manomettere l’algoritmo in modo da rendere meno visibile la propaganda social dei repubblicani (anche accadesse, non lo sapremo mai).

Con la sua consueta arroganza, Trump ha liquidato la polemica con un’alzata di spalle, e ha rilanciato affermando di non avere alcuna ragione di preoccuparsi essendo "lastar numero 1 di Facebook”. Naturalmente non è vero: la pagina Facebook di Trump conta 7 milioni di Like, quella di Obama 48 milioni. Ma il ragazzo è tutto fuorché stupido, sa che non esiste cattiva pubblicità e, soprattutto, sa come trasformare ogni polemica in acqua per il suo mulino. Le pagine di Sanders e Clinton oggi, insieme, superano a malapena i like di quella di Trump, ed è lecito aspettarsi che, nel caso di un’improbabile presa di posizione di Facebook, questo darebbe ancora maggiore visibilità al candidato repubblicano.

C’è poi un’ultima questione, che si dà il caso sia anche quella più importante: Davvero qualcuno auspica che Facebook utilizzi il proprio potere per influenzare il voto dei suoi utenti (posto che non lo faccia già)? Saremmo davvero disposti a delegare a un colosso della Silicon Valley la tutela dell’unico strumento democratico a nostra diposizione?

Ma soprattutto: Quanto ci sentiremmo sicuri in un mondo in cui Facebook avesse il potere di influenzare le nostre scelte, la nostra percezione del mondo, i nostri acquisti?

Scusate, per quest’ultimo interrogativo una risposta c’è: ci viviamo già.

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Fabio Deotto