Il lato oscuro delle selfie: per gli psicologi denotano insicurezza
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Il lato oscuro delle selfie: per gli psicologi denotano insicurezza

Troppi autoscatti sono indice di narcisismo e auto-oggetivazione. Inoltre, troppe selfie tendono ad allontanare potenziali amici e partner

L’altro giorno ero sulla metro, ero troppo stanco per leggere, troppe poche fermate davanti a me per dormire, e così come a volte capita mi sono messo a studiare la fauna che popola i vagoni della verde a Milano. Mi sono soffermato su una coppia di ragazzi appoggiati alle porte della carrozza con il braccio alzato a sorreggere un cellulare: stiracchiavano due sorrisi impossibili e sgranavano gli occhi a favore di quei due smartphone, sforzandosi di apparire il più allegri possibile; l’intera operazione è durata almeno dieci minuti, tanto che alla fine mi sentivo in imbarazzo per loro.

L’imbarazzo è diventato ancora più grande quando, per curiosità, ho tirato fuori di tasca il mio cellulare e sono andato a rivedere le ultime foto scattate. Ed ecco la crudele verità: nelle ultime 24 ore, anch’io mi ero scattato delle selfie.

Per quanto il trend sia diventato così dannatamente massiccio da farci venire la nausea, il termine “selfie” al momento è il perno attorno a cui si articolano alcune delle tendenze più significative del nuovo millennio. La realtà è che, bene o male, tutti ci scattiamo selfie: tu, i tuoi genitori, i tuoi figli, i calciatori e gli attori di hollywood, Barack Obama e il Papa; quasi l’inopponibile desiderio di auto-ritrarsi fosse diventata la nuova livella sociale.

Non è difficile capire perché. Da quando gli smartphone sono dotati di una telecamera frontale, è possibile scattare foto a se stessi controllando la propria espressione in modo da poter scegliere quella migliore, ed è anche possibile fare foto di gruppo con gli amici senza dover improvvisare autoscatti a tempo o sorteggiare un malcapitato perché regga la fotocamera mentre gli altri si mettono in posa.

A quanto pare, però, il fenomeno selfie sta già sfuggendo di mano, al punto che diversi psicologi si stanno concentrando sullo studio degli effetti negativi di questa pratica social-fotografica.

In uno studio pubblicato sulla rivista Personality and Individual Differences, i ricercatori Jesse Fox e Margaret C. Rooney, hanno evidenziato come la tendenza a farsi autoscatti possa essere correlata a problemi di insicurezza e di auto-oggettivazione (la tendenza a considerarsi come oggetto, strumento o merce). In particolare, i due ricercatori hanno studiato come una spiccata attenzione per la propria immagine postata nei social network, possa essere ricondotta a tre tratti comportamentali noti come Triade Oscura:

Le persone che dimostrano una maggiore auto-oggettivazione tendono a postare un maggior numero di selfie sui loro profili social” spiega Fox su The Next Web,questo porta un maggior feedback da parte degli amici online, che li incoraggia a postare ancora più foto di se stessi.

Altri indicatori di questo tipo di problema sono il tempo passato sui social in generale, e quello speso per modificare e abbellire la propria immagine profilo.

Se infatti scattarsi e postare selfie può avere un tornaconto positivo (almeno in prima battuta), aiutando a promuovere l’autostima, quando quest’abitudine sfugge di mano, finisce per diventare un problema per sé quanto per gli altri.

Stando a un altro studio condotto nel Regno Unito, per l’appunto, le persone che hanno il vizio di tempestare i social network di fotografie finiscono per logorare i rapporti con gli altri contatti, compromettendo potenziali amicizie e relazioni sentimentali: la tendenza a esporsi continuamente infatti viene infatti interpretata (anche inconsciamente) come segno di superficialità ed egocentrismo; e insomma: nessuno muore dalla voglia di conoscere meglio una persona che sa soltanto parlare di sé stesso.

Non bisogna poi dimenticare che nel momento stesso in cui ci affidiamo ai social network per fare il pieno di autostima, andiamo a rafforzare un circolo vizioso che può portare a una vera e propria dipendenza.

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Fabio Deotto