Gli smartphone ci faranno lo scan dell'iride
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Gli smartphone ci faranno lo scan dell'iride

Un nuovo prototipo creato da Fujitsu introduce per la prima volta lo scan dell'iride come blocco di sicurezza. Ma non è detto che sia una buona soluzione

Man mano che lo smartphone passa dall’essere un telefono farcito di applicazioni ad essere un’estensione digitale della nostra persona, il problema della sicurezza si fa sempre più pressante. A ogni nuova conferenza, colossi come Google, Apple e Facebook fanno a gara a convincerci che a breve utilizzeremo i nostri dispositivi mobile per qualunque cosa, dai pagamenti al supermercato all’esame del DNA. Ma se davvero gli smartphone saranno lo strumento che “aumenterà” la nostra realtà, è fondamentale renderli molto più sicuri di quanto siano.

Alcuni stanno cercando di sostituire le password con anelli, chiavi usb, ultrasuoni o questionari; ma l’eventualità più probabile è che la soluzione più affidabile sarà affidarsi a sensori biometrici. A questo proposito, è interessante il modello di smartphone lanciato da Fujitsu in partnership con NTT Docomo (l’operatore telefonico più importante in Giappone), la cui particolarità è di consentire il blocco del dispositivo e di eventuali pagamenti attraverso un sistema di scan dell’iride.

L’Arrows NX F-04G(questo il nome dello smartphone) è dotato di un display QHD da 5,2 pollici, supporta un sistema operativo Android 5.0 e, a detta dei suoi creatori, è il primo smartphone a integrare una tecnologia per il riconoscimento dell’iride.

Ma quello che potrebbe sembrare un significativo passo in avanti nello sviluppo di sistemi biometrici per la sicurezza mobile, sembra già mostrare il lato oscuro della sua medaglia. Proprio in queste ore, infatti, sta circolando la notizia di un nuovo tipo di scanner per l’iride che sarebbe in grado di operare anche a dieci metri di distanza.

Se da un lato questa nuova tecnologia potrebbe rivelarsi utile nell’identificazione di sospetti durante un crimine (per fare un esempio), apre nuove criticità sul fronte della privacy. Dal momento che consentirebbe, ancora meglio di un algoritmo per il riconoscimento facciale, l’identificazione di persone in un ambiente pubblico. 

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Fabio Deotto