Perché gli smartphone Android sembrano tutti uguali
Roberto Catania
Tecnologia

Perché gli smartphone Android sembrano tutti uguali

Un sistema operativo comune, ma non solo. La dipendenza dai grandi produttori di chipset rischia di appiattire il mercato. Così c’è chi cerca alternative

Se gli smartphone sono sempre più veloci, performanti e longevi lo dobbiamo soprattutto ai produttori di chipset. Qualcomm, Nvidia, MediaTek, Intel e gli altri hanno svolto in questi ultimi anni un lavoro straordinario sui processori e sulle architetture che fanno girare i telefonini intelligenti. Chi ha un modello di ultima generazione se ne sarà certamente reso conto: sul piano della fluidità, della connettività, delle prestazioni grafiche, della compatibilità con gli standard ad altissima definizione (Full HD, 4K) nonché dell’autonomia, i dispositivi di oggi sono lontani anni luce rispetto a quelli di soli 3 anni fa.

Se da un lato ciò consente al mercato di rimanere piuttosto vivo (gli smartphone, al contrario dei tablet, hanno un eccellente tasso di ricambio), dall’altro c’è il rischio che un’eccessiva dipendenza dai produttori di chipset finisca per appiattire le differenze

Le differenze (non) contano
Prendiamo i quattro principali smartphone Android del 2014, ad esempio: Htc One M8, Samsung Galaxy S5, Lg G3 e Sony Xperia Z3. Su tutti batte un cuore Qualcomm, più precisamente un chipset Snapdragon 801, un’unità molto potente che garantisce fra le altre cose la compatibilità coi sistemi di registrazione video 2K e 4K, funzionalità di ultra-risparmio energetico e il supporto alle reti LTE e agli standard Bluetooth 4.0 e WiFi 802.11n/ac.

Per i consumatori ciò si traduce nella possibilità di scegliere fra una pletora di dispositivi già nativamente predisposti per tutte le applicazioni di ultima generazione, tutti molto performanti ma anche - e qui veniamo al rovescio della medaglia - tutti piuttosto simili fra di loro. Basta metterli vicini, gli uni accanto agli altri: stessa filosofia di base (quella di un telefono touch screen), stesse dimensioni (il formato piccolo ormai si è perso, si va dai 4,7 pollici in su), stesso sistema operativo (Android appunto), stessa architettura, stesso processore. Le differenze, intendiamoci, non mancano: c'è chi ricorre a particolari in alluminio, chi a qualche smussatura sui bordi dello schermo, chi opta per una spolverata di pixel sulla fotocamera e sul display, chi ricorre a personalizzazioni dell’interfaccia utente piuttosto che a qualche applicazione esclusiva. Ma si tratta di piccoli dettagli riespetto alle funzioni chiave di uno smartphone.

La ricerca della personalità
In un contesto di questo tipo si capisce perché sempre più produttori stiano prendendo in considerazione l’idea di svincolarsi dai grandi fornitori di chipset. È il caso di Samsung, ad esempio, che già da qualche anno sta lavorando sulla sua personalissima gamma di processori Exynos, o di Huawei, che si è costruita in casa l’alternativa Kirin. Non vuole essere da meno Lg, che proprio di recente ha confermato di voler lavorare su un suo chipset proprietario - nome in codice Nuclun - basato su un’architettura ARM e un processore a otto core. Si tratta, per il momento, di una tendenza che va presa per quello che è: un tentativo ancora embrionale di smarcarsi dalla concorrenza. Nulla di più. Fintantoché i chipset prodotti dai colossi del settore si riveleranno più convenienti - che non vuol dire solo più economici, ma anche più affidabili e performanti di quelli prodotti in casa - i produttori si guarderanno bene dal tagliare il cordone ombelicale. Il fatto che la stessa Samsung attualmente produca due versioni del suo smartphone di punta (il Galaxy S5), uno con processore Qualcomm e l’altro con processore proprietario, la dice lunga sulla prudenza con cui si muovono i produttori in questo campo. Scendere da un treno in corsa che fila come un razzo potrebbe essere troppo pericoloso.

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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