iOS 7, il diario dei primi giorni con il nuovo sistema operativo
Tecnologia

iOS 7, il diario dei primi giorni con il nuovo sistema operativo

Cronaca di una convivenza con l'ultimo software per iPhone e iPad tra problemi, sorprese e una scoperta

Se qualche anno fa mi avessero detto che mi sarei trovato a smaniare per un nuovo sistema operativo, a desiderare di averlo il prima possibile, non ci avrei creduto. Ma prima di demoralizzarmi, di pensare che strana triste piega ha preso la mia vita, mi accorgo di essere in buona compagnia. In affollata compagnia. Di persone insospettabili e spessore indiscutibile. Già, mercoledì 18, giorno ufficiale di rilascio di iOS 7 per il pubblico, in rete e su Twitter non si parla d’altro (raddrizzamento della Concordia a parte). In tanti chiedono con insistenza a che ora sarà disponibile per il download, come scaricarlo, cosa fare per mettere al sicuro i dati e così via. E quando scatta l’ora x, poco dopo le 19, io sono sul treno che da Fiumicino mi riporta a casa con una lentezza esasperante, tra puntuali sussulti che sono il preludio di una serie di fermate in mezzo al nulla. Poi, mentre la carrozza riparte singhiozzando, non faccio che maledire la batteria: concede al telefono gli ultimi spasmi di luce finché non spegne con crudeltà lo schermo.

Che geni i signori della Apple: hanno reso sexy la cosa più barbosa e priva di appeal del mondo. Ricordate Windows, gli aggiornamenti critici e i vari Service Pack, persino le varie nuove definizioni dei virus? Ce ne siamo fregati per settimane se non mesi. E quando alla fine dovevamo cedere perché un software non voleva più saperne di funzionare o perché un hacker ci aveva rubato l’identità e si era abbonato a dodici siti porno a nostre spese, portavamo l’operazione a termine con lo sguardo crucciato, scandendo l’attesa per l’immancabile riavvio con un picchiettio nervoso delle dita sul mouse. Ora invece siamo tutti a intasare i server della mela, a far schizzare alle stelle il traffico di internet. A premere aggiorna con impazienza, a insultare un download che s’interrompe con parole irriferibili o a rassegnarci a scritte improbabili. Come quella che per tre volte mi compare dopo aver installato il nuovo iTunes: niente iOS 7, almeno dall’iMac, perché non sono amministratore del mio computer. Cosa falsa e urticante, perché sono l’unico utente. Cosa ancora più falsa, perché con l’iPad invece non succede. Non c’è verso: per l’iPhone tocca la via del Wi-Fi, lunga, pigra, insopportabilmente lenta.

La mattina dopo continua il tam tam su Twitter e pure su Facebook: prescelti dal destino che si vantano – e non li biasimo – di avere fatto tutto in un quarto d’ora, mentre io ho impiegato un’ora buona per l’iPad e due e mezza per l’iPhone; chi accusa eccessive lentezze, chi fa la volpe che non arriva all’uva e dice che sta bene così com’è. Chiaramente ha un iPhone della preistoria e ha paura che s’inchiodi anche solo per digitare un numero di telefono. Io, francamente, me ne frego del diluvio di parole e nemmeno mi curo dell’ultima frontiera del solipsismo digitale: chi posta uno screenshot del suo telefono, con sfondo delle vacanze e icone di iOS 7. Esibizionismo aggiornato all’ultima versione disponibile. Meglio un no comment, meglio ancora giocare con il sistema operativo che, come scrive giustamente un collega, ti fa sembrare di avere un telefono tutto nuovo senza avere speso nemmeno un centesimo. Il punto è che il telefono è sempre quello, solo che fino alla sera prima sapevi come fare tutto, ora ti ritrovi po’ spaesato.

In verità basta prenderci un po’ la mano e ti accorgi che la maggior parte delle cose non è cambiata, o è stata spostata o sistemata meglio. Terminare l’esecuzione delle app in background, per dire, non è subito intuitivo e sinceramente chiuderne tre con altrettante dita mi risulta un po’ un gesto da acrobata da circo. Per il resto, comunque, siamo sempre lì: a ogni aggiornamento la Apple promette 200 nuove funzioni e io mi sento un filo raggirato perché di sostanziali non arrivo mai a contarne una decina. E In effetti, oltre al restyling grafico e a qualche transizione molto wow (a me piacciono, questione di gusti), ecco l’icona dei messaggi, della posta, i social network, la fotocamera e la borsa. Siamo di fronte a un’evoluzione e non a una rivoluzione, storia già sentita. Quanto alle controindicazioni, iOS 7 non va bene se ci si sveglia di cattivo umore: tutte queste cromie, questo trionfo di colori da festa di paese, di prima mattina fa venire il mal di pancia. Poco male, tempo due giorni e non ci si fa più caso.    

Faccio invece caso al fatto che non posso più vedere l’ora durante una conversazione a meno che non sblocchi il telefono e tiri giù un menu a tendina: troppo complicato; che posso rifiutare una chiamata solo schiacciando due volte il pulsante superiore, perché altrimenti devo premere il tasto per rispondere con un messaggio o lanciare un promemoria che me lo ricordi più tardi: o forse no, c’è un modo, ma io non lo vedo; che l’iPad, dopo l’aggiornamento, ha sviluppato una sensibilità degna di una zona erogena del corpo: mi basta sfiorare appena un’icona o un’immagine e quella si apre, anche se non era mia intenzione e mi stavo limitando a scorrere tra i menu.

Comunque, aspettavo al varco un altro elemento, che si presenta puntualissimo tra giovedì sera e venerdì: ne avevo il sospetto, col tempo ne maturo la certezza. Con questo florilegio di icone 3D, animazioni, cambi di voce di Siri, gesti touch super accurati, la batteria dura di meno. E la rete si riempie di consigli per disattivare le funzioni che ne assorbono di più e limitare i danni. Ammetto che ho trovato sempre assurda questa esigenza di dover togliere di mezzo le innovazioni appena introdotte da un aggiornamento perché energivore. È come se godersele sia prerogativa di figure che vivono incatenate a una presa di corrente e non di chiunque abbia comprato un telefono pagandolo fino a quasi mille euro per usarlo ovunque, a partire dall’aria aperta. Comunque io l’effetto delle icone che atterrano sullo schermo come se qualcuno le stesse tirando all’indietro con una corda invisibile, me lo tengo. Devo come minimo riparare il trauma del nuovo algido blocco note, che non ha più la finta e kitsch pagina strappata e le righe giallognole di un taccuino d’antan. Capisci quello che ti piace quando ormai è troppo tardi, quando è andato via per non tornare.

E allora mi rassegno a questa pulizia, a questa sobrietà a tutti i costi, al blu che è più chiaro e diafano di prima, al verde che ha perso quel tocco padano, al meteo dove il sole è diventato piccolo piccolo e forse non scalda più come una volta e la pioggia si vede appena, magari però bagna di meno. Ogni tanto, a caccia di un po’ d’allegria, mi incanto a guardare l’icona delle immagini e quella del game center, con i loro pallini e ventagli colorati e mi prende meno male se da un momento all’altro l’account di posta elettronica si cancella da solo e devo reimpostarla da capo o i brani offline di Spotify non ci sono più. Li riscarico, ma, ribelli, non restano. D’altronde al lancio di un nuovo software è normale e fisiologico qualche piccolo problema e da quello che leggo in rete mi è andata decisamente meglio di altri.

Passa un altro giorno e non distinguo più le novità: non noto che i tasti per inserire il codice di sblocco sono rotondi e hanno un bel design, di gran lunga migliore rispetto alla versione precedente; mi giostro tra i menu a tendina, verso l’alto e verso il basso, con consumata abilità; non premo più il tasto home per trovare un contenuto, scorro il dito quanto basta e appare il menu della ricerca. La sorpresa ha fatto posto all’abitudine, il telefono è tornato a essere quello che era: uno strumento di lavoro e, in parte, divertimento. Ma non posso a ripensare a me stesso, pochi giorni fa, che conto le stazioni con frenesia perché non vedo l’ora di tornare a casa; che mi arrabbio perché l’aggiornamento non parte e sono contento quando finalmente arriva fino in fondo. Capisco finalmente dov’è la grande vittoria di Tim Cook & friends: non sono riusciti a portarci davanti ai negozi per comprare un nuovo iPhone - non tutti siamo così devoti, pazzi, insonni o con tanto tempo libero - ma ci hanno messo in fila sul web. Sarà marketing, un concentrato di suggestioni e aria fritta; sarà la nostra avidità e il gusto del gratuito, ma Android e Windows Phone questo entusiasmo se lo sognano. L’elisir di lunga vita della Apple sta in questo improbabile, quasi assurdo gesto semplice: milioni di utenti che in contemporanea rincorrono un download.    

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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