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Tecnologia

Abbiamo ancora bisogno di uno smartphone?

I risultati finanziari di Apple, Samsung e Microsoft mostrano un settore in difficoltà, incapace di rinnovarsi. Ecco di chi è la colpa

Ci sono prodotti che hanno cambiato per sempre la storia della tecnologia, come l’iPhone. Ma le conseguenze delle rivoluzioni non durano per sempre e qualche volta c’è bisogno di una nuova scintilla. La stessa che serve ad Apple. Non è un segreto: le vendite dell’iPhone non sono più quelle di una volta. I risultati del primo trimestre fiscale del 2016 (chiuso a fine dicembre) parlano chiaro: la gente compra lo smartphone di Cupertino con un tasso di crescita minore all’1% di anno in anno. Il motivo? Ce n’è più di uno, anche se quello più evidente pare essere che chi voleva un iPhone lo ha già; il resto si divide tra Android e (pochissimi) Windows Phone. Anche perché visti i prezzi del cellulare lanciato da Steve Jobs, non è così automatico passare da un modello all’altro ogni 12 mesi; sotto questo punto di vista potrebbe aiutare la formula lanciata negli USA (ma declinata anche in Italia attraverso gli operatori) tramite cui, al pagamento di un canone mensile, ci si assicura una nuova versione appena esce, comprensiva di traffico voce e dati.

Samsung: 2016 difficile

L’evidenza della saturazione della fascia di mercato a cui si rivolge Apple dovrebbe dunque corrispondere ad un incremento, almeno una certa stabilità, nell’adozione di Android. E invece no. Il costruttore che più di tutti ha contribuito a rendere famoso e apprezzato il sistema operativo mobile di Google è Samsung, che pure negli ultimi giorni ha comunicato i risultati finanziari per il suo periodo di riferimento. Rispetto all’analisi precedente, la società asiatica ha riportato vendite di smartphone in flessione del 7% con previsioni per il 2016 davvero poco confortanti. Bene, dicono da Redmond, vuoi vedere che è la volta buona che i Lumia rosicchiano utenti a tutti e due i concorrenti?

I Lumia hanno le ore contate

E niente, anche Nadella deve ricredersi. Nell’ultimo anno le vendite di smartphone Microsoft sono calate del 49%, con un numero di dispositivi venduti che è pari a quello registrato due anni fa, quando dietro alla scocca di tanti telefonini c’era il marchio Nokia, sinonimo di tradizione e affidabilità. Qualcosa non va nella strategia di ideazione e realizzazione dei Lumia, e non è detto che dipenda esclusivamente dalla pesante eredità di cui la multinazionale si è fatta carico.

Il senso dei cellulari

La domanda è la stessa che nel recente passato si sono posti gli esperti pronti ad analizzare il mercato dei computer desktop: hanno ancora senso? Era l’epoca del primo iPad, degli esperimenti delle tavolette Galaxy e, in generale, della comprensione che la mobilità poteva dare molto al computing. Di fatto oggi lavoriamo quasi tutti con un computer portatile, mentre gli schermi dei PC fissi sono quasi del tutto un ricordo. Quindi vale ancora la pena parlare, nel 2016, degli smartphone come di strumenti ancora necessari alla vita quotidiana?

Connessi ovunque

Pensiamoci un attimo: abbiamo un notebook per lavorare, un tablet per distrarci nei momenti di pausa, una televisione che va su internet e trasmette in streaming e uno smartwatch che può già fare a meno dello smartphone per connettersi al Wi-Fi a casa e a lavoro, per mostrare tutti gli avvisi necessari, anche le chat di Messenger e WhatsApp. Anzi, è in dirittura d’arrivo pure l’LG Watch Urbane 2, primo orologio dotato di Sim che permetterà di effettuare e ricevere chiamate. Ma non serve nemmeno aspettare: già oggi possiamo connetterci ad un hotspot wireless, aprire Skype su Android Wear e Apple Watch e contattare una persona della lista.

smart city berlinoMatthias Ripp, Flickr

Smartwatch destinati a crescere

Quindi la colpa della flessione nelle vendite degli smartphone è degli orologi intelligenti? In parte si, ma è tutta la tecnologia indossabile a porre in evidenza una problematica fondamentale: la tecnologia ha ancora senso se sconnessa dal corpo? Attenzione, non parliamo di chip tatuabili o di antennine da impiantare nel cervello ma di tutta quella gamma di dispositivi hi-tech che incontrano la modularità e sinuosità di una persona, per integrarsi meglio nel suo eco-sistema. Girereste con un cellulare (magari un phablet) perennemente attaccato al polso oppure alla cintura? Non credo. Invece pensiamo seriamente a quale smartwatch comprare, se meglio questo o quel braccialetto per l’attività sportiva, magari se vale la pena spendere dei soldi per gli Oculus o gli HTC Vive o i Google Glass, se mai arriveranno. Non è la spesa tecnologica del consumatore ad essersi spostata ma le necessità da soddisfare.

Smart cities

A completare il quadro ci si mettono pure le smart cities, le nuove metropoli che sembrano uscite direttamente da un romanzo di Philip K. Dick. Ci informano sugli orari degli autobus, sul meteo, trasmettono le notizie dell’ultima ora fin sotto la metropolitana, permettono di prenotare un taxi o affittare un’auto elettrica avvicinandosi ai totem dislocati un po’ ovunque. A Linate hanno persino fatto debuttare un ologramma, Holotower, che informa i viaggiatori su come raggiungere la A35 Brebemi. Presto tra le vie delle città a maggiore densità turistica non mancheranno schermi touch con mappe interattive, dove cliccare per capire in che direzione dirigersi, schivando chi indossa già un paio di Google Glass (se mai arriveranno) e quelli che si ostinano a tenere in mano lo smartphone come fosse una bussola da centinaia di euro.

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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