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Tecnologia

Cyberbullismo, almeno una vittima ogni 30 bambini

Sono gli stessi genitori italiani a denunciarlo, secondo quanto svela una nuova ricerca condotta da Norton

Il dato contiene molto più di quanto suggerisca a una prima lettura: un genitore italiano su trenta ha dichiarato che il proprio figlio è stato vittima di cyberbullismo. È la misura dei casi denunciati, venuti alla luce. Un ragazzo in ogni aula o due, a seconda della popolazione scolastica. Tanti altri, è evidente, rimangono in silenzio, soffocati dalla paura, dal timore delle conseguenze: «Molti genitori non sanno riconoscere i segni di questo problema. Inoltre, tanti bambini decidono di tacere gli episodi subiti, spesso per paura di perdere l’accesso a internet oppure di azioni da parte degli adulti che potrebbero metterli in imbarazzo o in difficoltà con i loro coetanei».

La riflessione è di Ida Setti, territory manager della Norton business unit del Sud Europa. Norton ha condotto il «Cybersecurity insight report», uno studio che Panorama.it è in grado di anticipare e che ha coinvolto 21 mila utenti di 21 Paesi, Italia inclusa, per capire le evoluzioni delle dinamiche tra genitori e figli sul web; per interrogarsi su come madri e padri percepiscano e vivano le aggressioni ai loro figli non più solo in aule, cortili e altri luoghi di ritrovo fisici dei giovanissimi, ma anche in chat e sui social network.

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Le conclusioni: nove genitori su dieci, il 91 per cento, sono preoccupati. Ed è una prova, quantomeno, di consapevolezza. Nemmeno così generica rispetto a quanto un'analisi frettolosa possa suggerire. Più della metà, il 64 per cento, è spaventato al pensiero che i ragazzi possano essere adescati da sconosciuti che si proteggono dietro l’anonimato del virtuale; quattro su cinque, l’81 per cento, sono convinti che i propri figli siano più esposti oggi ai pericoli del mondo on line rispetto a cinque anni fa. Gli strumenti di bit sono sempre più pervasivi, le minacce che si trascinano dietro, in evidente espansione.

Ecco allora che il 45 per cento dei genitori italiani, quasi la metà, si dice convinta che i propri figli siano più esposti al bullismo on line e non nella vita reale.  «Oltre al cyberbullismo» prosegue il rapporto «i genitori temono soprattutto che i propri figli possano scaricare programmi o app malevoli (68 per cento), rivelare a estranei troppe informazioni personali (72 per cento), dire o fare online qualcosa che metta a rischio l’intera famiglia (59 per cento) oppure pubblicare qualcosa che, in futuro, potrà essere nocivo per la loro carriera professionale o universitaria (54 per cento)».

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Remore che, però, non necessariamente si traducono in comportamenti virtuosi da parte degli adulti: un genitore su sette permette ai bambini di entrare in rete prima che compiano sei anni, davvero troppo presto per affrontare un contesto così vasto con un adeguato spirito critico e con una corazza funzionante; meno, quasi uno su dieci, non filtra in alcun modo l’accesso al web e nemmeno alle applicazioni per lo smartphone.

«I genitori svolgono un ruolo fondamentale nell’educazione dei loro figli indicando i limiti da rispettare per un comportamento accettabile e sicuro. Un dialogo aperto sulle esperienze fatte online è il primo passo per proteggere i nostri figli sul web» aggiunge Ida Setti. Che conclude: «Internet è una risorsa preziosa per la crescita dei bambini, e i ragazzi di oggi non conoscono un mondo senza web. Incoraggiamo i genitori a stabilire in famiglia delle regole sul suo uso». Se i pericoli sono all’esterno e nell’ovunque digitale, gli anticorpi si sviluppano sempre e da sempre tra le mura di casa.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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