Vuoi spiarmi su internet e smartphone? Basta che paghi
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Tecnologia

Vuoi spiarmi su internet e smartphone? Basta che paghi

Nuove startup offrono all'utenza una retribuzione per condividere i propri dati sensibili. Alcune arrivano a dare 100 dollari al mese per ogni utente. Una gatta da pelare per Facebook, Google e Amazon

La lunga sequela di polemiche fiorite intorno all’utilizzo che piattaforme come Facebook, Google e Amazon fanno dei dati personali degli utenti, dovrebbe aver reso chiara una cosa: le informazioni che condividiamo ogni giorno in rete sono preziose; basti pensare che aziende multimiliardarie del calibro di Google hanno come fonte primaria di profitto la vendita dei dati utente alle compagnie pubblicitarie.

Una volta preso atto di questo, all’utente rimangono ben poche alternative:

1- O decide che non se la sente di essere spremuto come un limone e abbandona le piattaforme e i servizi più gettonati in favore di applicazioni progettate a uso e consumo dei maniaci del riserbo.
2- O impara a blindare il proprio smartphone e i propri profili in modo da non lasciar colare una sola goccia di dati sensibili (opzione complicata, in alcuni casi impossibile)
3- O si rassegna alla possibilità (a volte non esplicita) che ogni sua ricerca, azione, spostamento, fotografia condivisa, mail, click e refresh diventi una dritta per i pubblicitari e oro per Google & co.

Negli ultimi mesi, però, sta cominciando a farsi largo una quarta, ragionevole alternativa: accettare che i propri dati vengano condivisi e venduti, facendosi pagare una sorta di “commissione”.

La prima società a proporre una soluzione di questo tipo è stata Datacoup che, all’inizio di questo anno, ha cominciato ad offrire compensi mensili a partire da 8 dollari agli utenti che acconsentissero di concedere le proprie informazioni digitali a scopo di lucro. La cosa interessante di Datacoup è che permette all’utente di valutare quale tipo di dati mettere in vendita, e quali invece mantenere privati. Ad ogni modo, la compagnia assicura la totale anonimità dei dati raccolti attraverso ad un apposito sistema di codifica.

Il servizio di Datacoup è ancora in fase beta, ma a breve dovrebbe essere aperto a qualunque utente. Si tratta di un esperimento interessante, e non solo per gli utenti, che per una volta hanno la possibilità di scegliere se condividere i propri dati e a che prezzo, ma anche per le compagnie pubblicitarie. La condivisione volontaria di dati apre infatti la strada a scenari inediti, in cui non sono più le compagnie a racimolare dati in silenzio, ma gli utenti stessi a fornire in modo dettagliato informazioni su svariati aspetti della propria vita.

Questo significa che, in prospettiva, l’advertiser potrà avere a disposizione un fornitore di dati sensibili che offre pacchetti omnicomprensivi che consentono l’incrocio dei dati della propria attività mobile e web, con quelli raccolti da strumenti di self-tracking e di fitness.

Più di recente, Luth Research , una startup di San Diego, ha cominciato ad offrire alle compagnie pubblicitarie la possibilità di accedere a pacchetti estensivi di dati sensibili ottenuti pagando ogni utente fino a 100 dollari al mese per condividere la sua attività su PC, smartphone e per sottoporsi a sondaggidi approfondimento.

Questo passo in avanti rispetto a Datacoup (sia in termini di compenso, che di complessità dei dati), dimostra che le potenzialità insite in questa nuova nicchia di mercato sono significative.

Rimane da capire quanto questo nuovo approccio farà presa sull’utenza. Nell’eventualità che, anche una volta passata la buriana NSA, l’utenza sviluppi una maggiore coscienza nei confronti dei dati che condivide ogni giorno, presto Facebook e Google potrebbero dover estrarre dal cilindro un proprio sistema di retribuzione dell’utenza.

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Fabio Deotto