Full frame: cosa significa e perché ne sentiremo parlare sempre più spesso
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Full frame: cosa significa e perché ne sentiremo parlare sempre più spesso

Un tempo era un lusso per professionisti. Ora però la frontiera del pieno formato sembra essere più aperta. E soprattutto accessibile. L’intervista con Francesco Papapietro, Marketing Product Manager di Sony Italia

C’era una volta il full frame, privilegio di pochi, selezionatissimi fotografi. Questione di sensibilità (e di portafogli). Perché in fondo il concetto di pieno formato non ha definito solo le dimensioni di un sensore ma anche quel confine che fino ad oggi ha separato l’elite dei professionisti da tutto il resto degli amatori.

Eppure, negli ultimi mesi, sono sempre di più i prodotti targati FF e, questo è forse l’aspetto più interessante, che si rivolgono anche agli appassionati senza pedigree. A crederci più di tutti sembra essere Sony, società che sta di fatto esplorando tutte le possibili declinazioni del full frame relative all’imaging digitale - dalle reflex alle compatte, dalle mirroless alle videocamere – con proposte piuttosto scalabili, nelle prestazioni come nel prezzo.

Per approfondire l’argomento abbiamo chiesto a Francesco Papapietro, Dslr/NEX Marketing Product Manager della società, di spiegarci quali sono le opportunità che si stanno aprendo in questo campo e soprattutto quali sono i benefici concreti che possono derivarne per i consumatori.

Iniziamo dalle basi: Può spiegare ai non addetti ai lavori cosa significa full frame e perché tutte le principali realtà dell’imaging ci stanno investendo?
Full frame significa come dice la parola stessa formato pieno: per fare un parallelismo con il mondo analogico significa parlare dello stesso formato che aveva la pellicola da 35 mm. Più semplicemente potremmo dire che il full frame è quanto di meglio si possa desiderare da una fotocamera per avere la migliore qualità d'immagine.

Ciò che cambia è il sensore, dunque
Il sensore è un po' come una finestra: più è grande, più luce riesce ad assorbire e più dettaglio di immagine potrà restituire. Essendo il full frame il formato più grande che si può avere nell'ambito delle fotocamera digitali, sia ad ottica fissa che intercambiabile, è anche quello che riesce a restituire il miglior dettaglio possibile. Ciò consente ai produttori di spingersi più in alto in termini di risoluzione, ma anche per ciò che riguarda la possibilità di costruire algoritmi e processori che riducano il cosiddetto rumore digitale in condizioni di scarsa luminosità, sia in ambienti esterni che indoor.

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L’impressione è che stiate lavorando per rendere il full frame una soluzione se non alla portata di tutti, comunque molto più accessibile
Fino a uno o due anni fa questi discorsi potevamo farli sono con i professionisti, sia perché riuscivano a comprenderne appieno i vantaggi sia per una mera questione di costi di gestione. La sfida di Sony è stata quella di applicare il concetto non solo alle reflex di fascia alta, come l’α99, che ne rappresentano il volano principale, ma di estendere il discorso anche al mondo delle macchine compatte. È il caso ad esempio della RX 1, una vera e propria sfida di ingegnerizzazione e miniaturizzazione che ha dato all'utente qualcosa che prima non aveva: la possibilità di fare foto professionali con una macchina tascabile a ottica fissa.

Non vi siete comunque fermati alla compatta
No, abbiamo introdotto anche la NEX VG900 , una videocamera con sensore full frame ad ottiche intercambiabili che permette a qualsiasi videomaker, anche amatoriale, di costruire filmati professionali. E poi c'è la α7 , la nostra prima mirrorless a pieno formato, una macchina con una qualità paragonabile a quella di una Dslr professionale in un corpo decisamente più compatto.

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Dunque una mirrorless full-frame può giocarsela tranquillamente con una reflex professionale?
Assolutamente sì. È il sensore il componente che determina primariamente la qualità di immagine.

In ogni caso c’è full-frame e full frame. Come si riconosce, prezzo a parte, la soluzione top da quella di fascia più bassa?
Pur restando nell’ambito full frame ci sono differenze intrinseche fra sensore e sensore. Bisogna poi valutare le singole esigenze: chi vuole fare foto con ampio grado di dettaglio per fare ingrandimenti o per avere scatti eccellenti in condizioni di scarsa luminosità è meglio che si orienti su una full frame top di gamma, chi vuole fare foto sportive può valutare soluzioni che privilegiano raffica e autofocus, a cominciare dalle stesse Aps-C.

C’è da dire che nell’era di Facebook e delle foto che si “appendono” su una bacheca digitale il concetto di ingrandimento è un po’ demodé…
Vero, ecco perché è importante sottolineare l’aspetto della versatilità. Le full frame esistevano anche prima ma avevano costi maggiori e una versatilità nettamente minore rispetto alle fotocamere Aps-C; introducendo una mirrorless full-frame, Sony prova a scardinare questa barriera.

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Come si inserisce in tutto questo il discorso della connettività?
Fra i bisogni degli utenti di oggi c’è sicuramente quello di avere fra le mani strumenti che sappiano accelerare il processo di condivisione delle foto e dei video. Ecco perché le nuove mirrorless, pur essendo full frame, hanno mantenuto il supporto Wi-Fi e NFC.

Significa che gli smartphone fanno paura?
Gli smartphone non sono più un fenomeno trascurabile. Ma non bisogna dimenticare che sono stati proprio loro a far rinascere nel consumatore la voglia della foto di qualità. Un’esigenza che poi si è tradotta nella progettazione di prodotti di qualità molto più elevata. In tutte le categorie.

 

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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