Non sono solo una bambola
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Non sono solo una bambola

Hello Barbie è però molto di più di un oggetto smart: il contenuto delle conversazioni potrebbe essere utilizzato per scopi commerciali. O peggio...

C'era una volta il libero arbitrio. Quando le bambine sceglievano, più o meno in questo periodo, i giocattoli da chiedere a Babbo Natale e selezionavano le amiche del cuore con cui giocare e fare i compiti.

In quel tempo gli adulti sceglievano se sposarsi o farsi preti, dove andare in vacanza, chi votare alle elezioni politiche e quale macchina comprare per la famiglia. Credevamo insomma, dopo storiche battaglie e rivoluzioni, di essere uomini liberi in Stati più o meno democratici; ma non avevamo fatto i conti con le conseguenze dell’internet of things. L’internet degli oggetti. Gli oggetti oggi sono esseri agenti nell’universo tanto quanto noi, che arrivano a indirizzare le nostre decisioni e, sempre di più, a scegliere al posto nostro.

Per capire come, prendiamo ad esempio Hello Barbie e Carly: due toy talk. Bambole parlanti, ma in realtà anche pensanti che potrebbero stravolgere la vita e addirittura plasmare parte dell’identità e dell’educazione non solo dei bambini, ma anche dei genitori.

Non è futuro: le bambole sono già in cima alla lista dei desideri delle bambine americane per il prossimo Natale. Dentro c’è un software che funziona più o meno come Siri, la voce dell’iPhone che risponde alle nostre domande e che ha coronato il sogno di tutti di avere una segretaria senza pagarle uno stipendio. Con la differenza che loro, le bambole, le domande le fanno anche. "Cosa vuoi fare da grande?" chiede la Barbie. La bambina risponde: "La scienziata". "Ho sempre sognato fare la zoologa" replica Barbie, suggerendo già una specializzazione.

Domande e risposte, che passano dalla app in cui sono stati inseriti i dati dei genitori e/o della bambina, vengono registrate e spedite al database in California. Per ora è possibile che la bimba aspirante scienziata chieda solo ai genitori di prendere un cane; o di portarla in visita all’osservatorio astronomico e allo zoo. Ma tra qualche anno, al momento di scegliere il liceo, l’informazione potrà tornare utile, ad esempio, a Facebook e Google, se decidessero di condividere i database con il produttore del giocattolo intelligente per presentare sulla home page del social network o nei risultati del motore di ricerca un particolare liceo scientifico; proporre un safari tra i leoni del Botswana (che i genitori dovranno pagare all’agenzia sponsorizzata) o vendere un abbonamento a Netflix che ha nel menu un sequel sugli astronauti.

Al compimento del 18esimo anno servirà a orientare la ragazza verso il sito di un ex scienziato ora candidato politico e così via. Nel database, inoltre, saranno disponibili a chi avrà accesso ai dati i gusti alimentari della piccola, i suoi orari, le sue più intime confidenze. Tutto potrebbe servire nel futuro a orientarne le scelte, i consumi, lo stile di vita. Limitando in maniera sottile e invisibile la sua capacità di scelta, il suo libero arbitrio.

"Al di là dei possibili lati positivi, come imparare le tabelline, vedo e temo più quelli negativi, tra cui il rischio che queste bambine cresceranno sentendo solo ciò che vogliono sentirsi dire e magari anche idealizzando se stesse" commenta Marisa Roberto, membro del comitato di Neurobiology of addictive disorders (neurobiologia delle dipendenze) presso The Scripps research institute in California, a Roma per un incontro all’Aspen Institute sull’Internet of Things. "Purtroppo, crescendo, questa illusione viene meno. Lo scontro con la realtà può rivelarsi drammatico, spingendo l’adolescente a buttarsi in abusi di sostanze stupefacenti e alcol. Non parliamo poi delle conseguenze della perdita della propria privacy. Un rischio troppo sottovalutato".

La bambola, infatti, come tutti gli oggetti connessi, potrebbe essere anche hackerata. Poniamo che venga regalata alla figlia dell’amministratore delegato di un’importante azienda o di un ministro. Un bravo cracker (esperto informatico che ruba e utilizza le informazioni estorte a fini personali, o distruttivi, o di spionaggio aziendale e geopolitico) può farla diventare una sorta di microfono, che resta acceso in casa anche quando la bambola è spenta. Trasmettendo come una radiotrasmittente tutte le conversazioni tra le mura domestiche. Oppure il cracker può prendere il controllo di domande e risposte, scioccando la bambina: "Barbie, è vero che a casa sono al sicuro?", potrebbe chiedere la bimba. "Tua madre è stata rapita dagli extraterrestri; A Paperopoli Qui Quo Qua stanno preparando un attacco nella tua città. Taglieranno la testa a tutti quelli che vivono lì intorno, a partire da quelli che abitano nel tuo palazzo" potrebbe rispondere.

Inoltre, hackerando la bambola, come può avvenire per tutti gli oggetti connessi a internet e non protetti, le informazioni possono essere copiate, distrutte o riversate nel dark web, e trovarsi alla mercè di tutti. Ad esempio il toy talk potrà chiedere: "Come sta la mamma?" e scoprire che ha un tumore al seno. Magari la signora non voleva che l’informazione finisse chissà dove e chissà a chi nel web, magari corredata da chissà quanti altri dettagli ottenuti tramite un successivo attacco informatico al database che contiene la sua cartella clinica. Il tumore della madre in questione può essere un dato interessante per una compagnia assicurativa, che potrebbe chiudere la polizza senza un motivo apparente; o per il dirigente con cui la donna ha appena avuto un colloquio di lavoro, o, ancora, per licenziarla in tutta fretta dal negozio in cui fa la commessa.

Se state pensando che non è un problema vostro perché non avete figlie piccole o perché non comprerete mai un toy talk vi sbagliate di grosso. Infatti gli stessi rischi e le stesse opportunità (va detto che le bambole intelligenti opportunamente programmate potrebbero essere di notevole aiuto per i bambini autistici) valgono anche per tutti gli elettrodomestici connessi al wifi.

Un frigorifero "smart", per esempio, di quelli che parlano da soli con il supermercato per segnalare che il latte è finito e va inserito nel prossimo carrello della spesa online, può essere hackerato e utilizzato come ponte per un attacco informatico nell’ufficio o nell’abitazione in cui si trovano; una stampante "intelligente" opportunamente manovrata da remoto può provocare un incendio in una stanza.

Un hacker può entrare in controllo delle automobili di ultima generazione arrivando a gestire radio, volante e freni mentre state guidando (è stato già provato da due hacker americani che hanno filmato l’esperimento).

"La sicurezza non esiste al 100 per cento. Il software è per definizione insicuro" afferma Ludovico Ciferro, sempre dell’Aspen Institute, numero uno di una società che produce schede per computer in Giappone "se da un lato i processi produttivi migliorano con l’utilizzo dei dati raccolti dai sensori (ragione per la quale tutto viene connesso a internet, ponendo già in questa fase un problema di privacy) il vero valore sta nel senso che viene dato alla massa dei dati. La vera scommessa è in una raccolta 'agnostica' delle informazioni da trasferire poi in modo sicuro a chi elaborerà i dati".

Il campo in cui si rischia di più, ma anche quello dove ci sono maggiori vantaggi quando la connessione è usata bene, è quello sanitario. Connettendo un pacemaker a internet infatti si ha un monitoraggio costante del suo funzionamento da parte del medico; ma si lascia anche a un bravo cracker la possibilità di attaccarlo mandando il cardiopatico al Creatore.

"Fronteggiare la possibilità di vedere hackerati i dati privati legati alla salute è la sfida più grande. Da affrontare su base etica e normativa" dice Mario Roviglione, dell’Organizzazione mondiale della sanità. "Occorre garantire i benefici e occorre una regolamentazione precisa".

Il concetto di privacy tuttavia, varia da una cultura all’altra. Come spiega Edoardo Magnone, professore di Storia del materiali alla Nogud University di Seul. "In Corea c’è una tessera con tutto quello che riguarda la tua storia sanitaria. E nessuno ha paura che qualcun altro la legga. A Seul la vita privata è molto circoscritta. Sacrificata sull’altare della produttività e della collettività. La voglia di fare comunità porta a cercare di sopprimere il debole, come fanno i canarini. Questo avviene sia che si tratti di uno studente rimasto indietro nel corso che di un caro collega malato. Che però rallenta il lavoro. Il soggetto viene allontanato anche dagli amici, e diventa oggetto di un mobbing feroce. Altrimenti, dedicandosi a lui, rallenterebbe la produttività di tutti. Mettendo a rischio la disciplina, e quindi il sistema". E forse anche negli Stati Uniti ormai si sono assuefatti all’idea di una società disciplinare, visto che Hello Barbie è già esaurita nei negozi di giocattoli di New York.

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Barbara Carfagna