Musica online, la guerra dello streaming
Tecnologia

Musica online, la guerra dello streaming

Le vendite dei cd continuano a crollare e il digitale cresce ma non sempre compensa la sparizione del mercato dei supporti fisici: nel 2012 lo streaming ucciderà davvero anche il download?

Il 2012 sarà l'anno in cui lo streaming soppianterà i download, in campo musicale? O questo settore - in cui è in corso una vera battaglia tra i vari Pandora, Spotify, iHeartradio, iTunes Match e via dicendo - non è per caso sopravvalutato?

Diamo uno sguardo ai nomi più noti di questa parte sempre più affollata del "circo" della musica online.

Spotify

E' il quasi indiscusso re del settore. E' arrivato molto tempo dopo altri come Rhapsody e la seconda versione di Napster (oggi anch'essa defunta e parte dello stesso Rhapsody) eppure per la ricchezza del catalogo, la facilità d'uso, la presenza di un account free a patto di sorbirsi gli spot pubblicitari - e a dispetto della presenza in un numero ancora limitato di paesi - è già leader. E' criticato da una parte degli artisti perché pagherebbe poco: eppure Rhapsody, Musicnet e altri ancora hanno pagato centesimi o frazioni di centesimo di dollaro per un decennio e tutti hanno sempre incassato quello che passava il convento senza mai lamentarsi. Nonostante l'integrazione con Facebook - che lo ha portato ad aumentare la notorietà specie negli Stati Uniti - Spotify fa ancora paura a qualcuno...

In ritardo clamoroso l'Italia, ma non è una novità: la maggior parte dei servizi di cui parliamo in questa sede non sono accessibili dal nostro paese.

iTunes Match

E' l'ultimo arrivato eppure è un concorrente temibile. Già, perché se Spotify oggi come oggi sembra l'unica minaccia credibile allo strapotere di Apple iTunes, l'unico rimedio anti-Spotify... è ancora Apple. Il servizio Match basato sull'iCloud di Apple permette di fatto di inglobare in un unico luogo (ma di sfruttare su diversi apparecchi) il proprio catalogo di musica. E di includere non solo gli acquisti provenienti da iTunes ma anche mp3 "rippati" dai propri cd o acquistati altrove (da Amazon o eMusic, magari) o - addirittura - anche scaricati da servizi peer-to-peer o altre fonti prive di licenza. Insomma, un modo sia per compattare la propria libreria musicale che per legalizzare i vecchi mp3 non in regola ottenendone peraltro se possibile copie di migliore qualità dal catalogo iTunes.

Perché includere Match in una rassegna dedicata allo streaming? Semplice, perché da qualche settimana, quando sono stati diffusi i primi dati sui pagamenti operati dal distributore di indipendenti CD Baby ai propri artisti, oltre a ulteriori discorsi su quanto "poco" paghi Apple (i primissimi dati vedevano un importo pari a millesimi (!) di dollaro per ascolto: un decimo di quanto pagava Spotify all'inizio, ma nel giro di pochi mesi Match è già cresciuto aumentando anche le somme distribuite) si è scoperto che di fatto il nuovo servizio di iTunes funziona in due modi: redownload (per il ri-scaricamento dei brani già in proprio possesso e la loro collocazione in iCloud; che ovviamente significa anche guadagno bonus per artisti e discografici) e streaming (con un piccolo pagamento per gli aventi diritto ogni volta che un pezzo viene riascoltato). Un mix di caratteristiche che dovrebbe risultare gradito tanto agli utenti - che si ritrovano un costo contenuto annuale per il servizio - come ai titolari di copyright...

Pandora

Attualmente disponibile solo in USA e Australia, in teoria dovrebbe avere in tasca una tecnologia unica al mondo: quel Music Genome Project che esiste dal 1999 e che "cataloga" i brani musicali sulla base di algoritmi matematici e di una complessa lista di circa 400 attributi.

Da un annetto a questa parte, pare il leader della radiofonia negli Stati Uniti, disponibile in due versioni: gratuita con gli spot, e a pagamento ma priva di pubblicità. Eppure, il mercato è estremamente volubile. Pandora sa un po' di bluff: nonostante la tecnologia sottostante, non sembra avere molto che lo distingua da altri servizi. Spotify dovrebbe inoltre essere estremamente più personalizzabile e e forse più adatto a scoprire novità.

Negli ultimi tempi è apparso come uno dei nomi leader del settore, eppure quando un servizio in circolazione (e nell'ombra) da anni come Songza ha presentato un'app scaricata in poco tempo da oltre 700.000 persone e la cui potenzialità è ancora tutta da dimostrare, Pandora ha avuto un mezzo tracollo sul Nasdaq. Insomma, appaiono volubili sia gli utenti che gli investitori.

A questo proposito, in borsa risente dell'associazione con altri titoli tecnologici dell'ultima ondata, e questo non è un bene. Nomi come Facebook, Zynga, Groupon e Pandora formano un "gruppetto" che finora ha deluso le aspettative e bruciato danari in quantità.

Rhapsody

Il decano dello streaming musicale: erede del dimenticato portale Listen.com, esiste come servizio in abbonamento nei soli Stati Uniti fin dal 2001. Legato per anni a RealNetworks - da cui si è staccato nel 2010 - nel 2011 ha assorbito un altro nome storico: Napster. Che nella sua seconda incarnazione, oltre ad essere completamente legale era anch'esso un servizio in streaming. Nonostante gli 11 milioni di brani in tasca, il costo contenuto (10 dollari al mese) e le licenze delle major siglate ormai da un decennio, Rhapsody non ha mai sfondato; ha circa 850.000 abbonati, ma Spotify che esiste da molto meno ha un numero di paganti ben più alto: 2 milioni e mezzo. Nonostante la fusione con Napster, dà l'impressione di essere ancora abbastanza debole.

iHeartradio

Il tentativo di un colosso come Clear Channel di ritagliarsi una presenza importante nel mondo delle webradio e dello streaming. Oltre al web, è presente come app per iPhone/iPod Touch fin dala sua nascita, nel 2008; negli anni successivi si è espansa su altre piattaforme quali Android, Backberry, persino Xbox.

E' un misto di radio tradizionale trasferita sul web e di un sistema di "suggerimenti" per scoprire nuova musica. Probabilmente il concorrente più diretto di Pandora, a parte i nuovi servizi "radio" di Spotify.

Deezer

In circolazione sotto un altro nome fin dal 2005 ma da quest'anno accessibile in molti nuovi territori, dall'Australia al Canada, è un servizio nato in Francia e con un catalogo di 15 milioni di brani. Inizialmente gratuito e senza limiti di ascolto, di fatto ora è un servizio a pagamento dal costo di 4,99 Euro mensili (i primi 15 giorni sono gratuiti). Senza abbonamento si possono comunque preascoltare 30 secondi di ogni brano. Fastidioso il collegamento con Facebook che a richiesta può postare i pezzi che ascoltate nella vostra timeline (lo fa anche Spotify, comunque) e che soprattutto vi informa - senza che voi abbiate dato alcun permesso in tal senso in Facebook - che "Tizio d'ora in poi seguirà la tua attività musicale" (!?!)

Anche per Deezer il salto di qualità sembra avvenire con lo sbarco su varie piattaforme mobili, da Apple ad Android, da Blackberry fino a Sony Ericsson e Samsung.

Last.fm

Uno dei nomi storici del settore - apparso in Gran Bretagna nel 2002 e dal 2007 in mano a CBS Interactive - è disponibile in versione gratuita (solo in USA, Regno Unito e Germania) e a pagamento (3 Euro al mese). Un misto di interattività e di funzioni "social" si abbinano a un catalogo ricco (12 milioni di brani) ma talvolta pasticciato: alcuni brani provengono dagli artisti, altri ancora dai distributori ufficiali (etichette grandi e piccole o aggregatori/distributori digitali). Altri ancora sono residuati di quanto gli utenti caricavano anni addietro, prima degli accordi con strutture come Warner e Sony. Il risultato è un catalogo incompleto, non sempre aggiornato e con brani sciolti, o addirittura pagine che palesemente sono state create da utenti con materiale non ufficiale per di più provienente da torrent e altri sistemi P2P. Si possono ascoltare brani di un certo artista o canali radio basati sui propri gusti.

Dal punto di vista dei titolari di copyright, Last.fm paga pochissimo: meno di iTunes Match o Spotify. Sarà forse per questo che in fondo non sembra godere di grande attenzione da parte dei discografici (e di riflesso il suo catalogo rischia di continuare a rimanere molto meno interessante di quello di tanti altri concorrenti).

Grooveshark

Un nome controverso. Servizio statunitense gratuito e in abbonamento, accessibile - incredibilmente - anche dall'Italia senza alcun costo. Playlist condivisibili, servizi per artisti e label, possibilità di caricare musica per gli utenti. Proprio quest'ultima finisce però per essere il punto debole del servizio: tacciato di pratiche piratesche e perciò sotto accusa da parte di Universal; mentre con altre etichette - EMI tra tutte - erano stati sottoscritti accordi.

Grooveshark per la gratuità e l'accessibilità potrebbe conquistare posizioni importanti. Eppure, al momento si trova ad affrontare azioni legali da parte di tutte le major del disco, per presunte violazioni di copyright o per mancati pagamenti, da aprile scorso, ci sono di nuovo problemi anche anche con EMI. In seguito alle suddette controversie, le app di Grooveshark per Apple, Android e Facebook sono state rimosse, nonostante il servizio affermi di essere nella piena legalità e di operare nell'ambito del DMCA, un po' come YouTube che consente di caricare file agli utenti ma li rimuove su richiesta dei titolari di copyright.

Play.me

Un servizio interamente nato in Italia per streaming e download - caso più unico che raro - passato nel 2011 da Dada.net a Buongiorno SpA e ora dei giapponesi di NTT Docomo che hanno acquisito Buongiorno. Servizio a pagamento ma con vari "tagli" a seconda della tipologia di abbonamento e la presenza di web radio a tema. Oltre ad applicazioni per iPhone e Android, c'è anche un canale tv. Il catalogo non è all'altezza di molti dei servizi presenti in altri paesi (6 milioni di pezzi). Ma come dicevamo, per il pubblico nostrano non ci sono poi molte alternative.

Il 23 luglio scorso è stato anche annunciato un music store in collaborazione con la catena di elettrodomestici Euronics. Ma al sito annunciato (https://www.musicstore.euronics.it/ ) non si trova ancora nulla...

We7

Britannico, fondato nel 2007 da Peter Gabriel e Steve Purdham.

E' per certi versi simile a Spotify, con un servizio gratuito ma con pubblicità e uno privo di spot ma a pagamento. Disponibile in Gran Bretagna e Irlanda, con app dedicate per iPhone e Android, ha 3 milioni di utenti e quasi 7 milioni di brani. A giugno 2012 è stato ceduto alla catena di supermercati Tesco , che punta ad espandersi nel digitale (lo scorso anno aveva acquisito la maggioranza di Blinkbox, che distribuisce video on demand). Peter Gabriel non sembra avere gran fortuna nelle proprie iniziative Internet: una precedente impresa (OD2) che fu tra le prime a distribuire musica online in Europa, finì nel 2004 nelle mani degli americani di Loudeye, successivamente confluita in Nokia.

Rdio

Presente in Stati Uniti e Canada, ma anche in diversi paesi europei e in Nuova Zelanda (manco a dirlo: non in Italia...) può offrire musica in streaming anche offline, su web come su diverse piattaforme mobili (Apple, Android, Blackberry, Windows Phone) oltre che con due client per Mac e PC. Ancora un servizio in abbonamento e un nome di cui si fa un gran parlare da almeno un paio d'anni a questa parte; anche per via dei suoi creatori: Niklas Zennström e Janus Friis, già dietro Kazaa e poi Skype.

XBox Music

Erede del vecchio Zune Music Pass di casa Microsoft, sarà presto disponibile per Xbox 360, Windows Phone e sistemi Windows 8.

Data l'attuale fase di transizione, il vecchio sito Zune è ancora visibile ma la preview dei brani non sembra funzionare. In altre parole, ci sarà ancora da attendere per vedere come andrà il servizio e quale impatto potrà avere tra i tantissimi concorrenti sulla piazza.

La lista a dire il vero è tutt'altro che esaurita: dalla fine degli anni '90, periodicamente, il mondo della musica online ha visto un susseguirsi di fasi di crescita incontrollata e di chiusure e sparizioni. Al momento la fase è nuovamente di boom ma limitatamente allo streaming. Così, ecco un rilancio di Songza (ancora una radio online, con molte possibilità di personalizzazione, brevemente utilizzabile anche da noi e poi limitata agli USA, di recente dotatasi di app per smartphone), o il proliferare di siti come Loudcaster che a bassisisimo costo - a partire da una decina di dollari al mese - permettono di aprire il proprio canale con regolare licenza e di caricare e trasmettere qualsiasi brano in formato mp3 oppure di effettuare trasmissioni dal vivo; o Mog, che sembra una novità ma di fatto è basato sul vecchio catalogo di Medianet (ex Musicnet, altro decano del settore) e che per un periodo è stato anche alleato di Rhapsody. Offre di nuovo una combinazione playlist da condividere, canali radio, app per smartphone e via dicendo, ma ancora una volta limitata ad USA e Australia. Da poche settimane è stato ceduto a Beats Electronics, società co-fondata dal rapper Dr.Dre. Earbitsha una particolarità: non costa nulla e non contiene spot; si definisce in maniera colorita "streaming radio with cojones" e presenta una serie di canali divisi per genere oltre ad altre pagine con playlist selezionate dalla redazione, con una mistura di nomi noti ed emergenti. Sono spesso presenti link per scaricare i brani, da siti a pagamento come Amazon ma anche a pagine di Bandcamp che possono contenere pezzi gratuiti.

Jango, che per l'utente è un insieme di canali radio, ma per gli artisti è un canale promozionale a pagamento, in cui caricare brani da promuovere a un target preciso di utenti, per esempio ai fan di un artista simile o di un certo genere musicale.

C'è persino l'ennesima versione del sito-bluff Qtrax (https://www.nicolabattista.it/tag/qtrax ) che - per false partenze, annunci rapidamente seguiti da smentite e altri episodi poco onorevoli - è da anni una specie di barzelletta del settore.

E' evidente che i prossimi 12-24 mesi vedranno una stabilizzazione del mercato e una serie di chiusure dei servizi con meno seguito o con modelli di business non esattamente brillanti. Chissà se dall'Italia riusciremo ad assaggiare un po' di tutto questo, possibilmente senza ricorrere a trucchetti con gli indirizzi IP.      

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