Tecnologia

Israele: perché Iron Dome non ferma i missili di Gaza

Il paese aveva grande fiducia in questa tecnologia che intercetta e disinnesca i razzi nemici. Invece, anche quando centrati, arrivano lo stesso a terra con le testate ancora in grado di esplodere - Video: 1   - 2   - 3   - 4 - Foto: 1   - 2  - Il dubbi di Obama   - Verso l'escalation?   - Armi e tattiche

Molti conosceranno la cosiddetta Iron Dome (Cupola di ferro), il sistema utilizzato da Israele sin dal 2011 (costruito con l'aiuto degli Stati Uniti) per intercettare i razzi a media velocità inviati principalmente da Gaza e sulla linea dei confini nazionali. La “Iron Dome” è un concentrato di tecnologia, composta da tre parti principali: il radar per rilevare e inseguire la rotta dei missili nemici, un sistema per gestire diversi scenari di battaglia (il Battle Management & Weapon Control) e le unità mobili che, posizionate lungo diverse zone del paese, intercettano i missili, grazie ai sensori elettro-ottici di cui sono dotate.

Il funzionamento è il seguente: l’unità mobile rileva il lancio di un razzo, ne calcola la traiettoria e invia l’informazione al radar centrale che calcola la zona prevista per l’impatto. A questo punto il sistema di gestione della battaglia, una volta verificato che il missile rappresenti davvero una minaccia per i civili, fa partire un contro-razzo, in grado di colpire il lancio nemico e detonare il missile quando è ancora alto in volo.

Fin qui tutto ok, nel senso che anche oggi, a seguito degli scontri tra Israele e Palestina , il Dipartimento per la difesa israelita ha affermato come Iron Dome abbia già intercettato una sessantina di missili partiti da Gaza, prevenendo esplosioni in diverse città. Il problema è che gli analisti affermano che la Cupola di ferro starebbe fallendo nel suo obiettivo principale: detonare del tutto i razzi nemici, colpendo le testate dei razzi e non solo la semplice struttura.

Il risultato è che la traiettoria dei missili palestinesi viene modificata dall'impatto con Iron Dome, il tronco mozzato, ma le testate continuano a cadere a terra ancora cariche e in grado di scoppiare da un momento all’altro. Come spiega il MIT Technology Review: “Potrebbe essere solo un caso il fatto che l’esplosivo non abbia causato feriti o morti a Tel Aviv, Gerusalemme e nelle città vicine”.

Secondo gli analisti, le possibili cause della difficoltà di Israele di detonare in pieno i missili sono due.
Come ha spiegato l’esperto di armi da guerra Richard Lloyd, i sensori della cupola hanno bisogno di colpire frontalmente i razzi in arrivo per avere più chance di detonare le testate. Le analisi su come Iron Dome ha lavorato negli ultimi giorni mostrano invece che i contro-missili hanno colpito i razzi di Gaza solo lateralmente o addirittura da dietro. Per questo ci sono “possibilità pari a zero di distruggere le testate”. È una questione di fisica più che di strategia.

Questo primo punto è strettamente connesso alla seconda ipotesi: i palestinesi potrebbero aver a disposizione una serie di nuovi razzi, in grado di eludere e disorientare l'Iron Dome di Israele. E già la teoria incontra la pratica in un paio di “incidenti” avvenuti negli ultimi giorni. Le testate giornalistiche internazionali hanno riportato come diversi razzi partiti da Gaza siano finiti “nel mezzo del nulla”, più di una volta. Quello che si pensava potesse essere un errore strategico e militare palestinese potrebbe invece rivelarsi una tattica per avvicinarsi alle città senza che le difese di Israele possano intervenire.

Come detto, Iron Dome può solo seguire quei missili indirizzati per cadere in luoghi abitati e capaci di causare danni a persone, abitazioni e strutture commerciali. Quando da Gaza parte un razzo diretto verso una zona lontana diversi chilometri dai centri monitorati, Iron Dome non può far nulla per intercettarlo e tanto meno detonare la testata. Sarebbe quindi in corso un’opera di “avvicinamento” dei razzi di Gaza su Israele, procedendo per tappe su un’ipotetica scacchiera territoriale. Così anche se i missili partiti dalla striscia non dovessero raggiungere le città bersaglio, le forze palestinesi si garantirebbero comunque una buona percentuale di bombe ancora attive, cadute in territorio nemico.

 

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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