12 luglio 2017
Tecnologia

Cos’è il “Primo emendamento di Internet” e perché è importante

I big del web si mobilitano per fermare il tentativo di Trump di porre limiti alla neutralità della rete. Succede negli USA ma ci interessa da vicino

Il 12 luglio sarà ricordato come il giorno della più grande protesta digitale mai organizzata. Circa 200 compagnie, tra cui Facebook, Google, Amazon e Spotify, mostrano dei banner in cui viene spiegato perché la neutralità della rete è in pericolo.

Di cosa si tratta

La neutralità della rete si basa su un concetto molto semplice: chiunque ha un accesso a internet deve poter navigare senza limiti di sorta imposti dai service provider, ovvero dagli operatori che forniscono il servizio. L’assunto vale principalmente per la tipologia di contenuto fruito: che si tratti di controllare un’email, guardare un telefilm o leggere Panorama.it, la qualità deve rimanere la stessa, al netto del canone che si paga. Ovviamente chi ha una connessione in fibra andrà sempre più veloce dell’utente con 5 mega, ma senza distinzioni dovute alle singole piattaforme.

Cosa vuol dire

In assenza della net neutrality, la compagnia che ci porta la connessione dentro casa potrebbe decidere di farci pagare qualche euro in più ogni volta che guardiamo una partita in streaming, perché l’emittente che la trasmette è magari un suo concorrente diretto o secondario (sapete, le sussidiarie...), oppure se ascoltiamo un brano su Apple Music, visto che ha appena stretto un accordo con Spotify o visitiamo un sito per adulti (come anche quelli che offrono gioco d’azzardo), per proteggere i minori, limitando di fatto tutti gli altri. Si tratta solo di esempi, che però descrivono uno scenario plausibile in un futuro non così remoto.

Neutralità della rete, le cinque cose da sapere


La protesta

I principali big del web (qui ci sono tutti) si sono dunque accordati per il cosiddetto Day Action dell’12 luglio 2017, qualche giorno prima della presentazione al governo Trump di una regolamentazione che, di fatto, taglierebbe le gambe a quello che è stato definito il Primo Emendamento di internet. Il governo attuale vorrebbe infatti ridiscutere il veto messo da Barack Obama sulla neutralità nel 2015, poco prima del passaggio di testimone.

Il 17 luglio scadono i 90 giorni a disposizione dei membri della Federal Communications Commission per trovare un accordo sul tema, a seguito dei feedback ricevuti anche dagli utenti stessi del web. Per questo il Day Action ha chiamato in causa chiunque intenda proteggere la neutralità della rete, invitando a compilare il box mostrato in homepage dalle piattaforme aderenti, così da sensibilizzare la FCC. Quest’ultima, entro il 16 agosto dovrà fare il punto della situazione, proponendo poi un disegno di modifica per la fine dell’anno.

Perché è giusto mantenere la neutralità della rete

La neutralità della rete è un valore fondamentale per almeno due motivi, uno commerciale, l’altro politico. Solo le compagnie che gestiscono piattaforme di intrattenimento su larga scala (i content provider) trarrebbero beneficio dalle nuove regole. Facciamo un esempio: qualora l’operatore bloccasse l’accesso a due siti che offrono film in streaming, l’una con un catalogo limitato e l’altra con un repertorio più ampio, chiedendo una sovrattassa ad-hoc per uno dei due, quale scegliereste? E se lo stesso succedesse per ascoltare la musica, scaricare applicazioni o giochi? Golia vincerebbe sempre contro Davide.

A livello politico, permettere che siano pochi operatori a modificare la velocità e la navigazione in base a criteri mai chiari (gli accordi tra service provider e content provider cambiano in continuazione) darebbe a una piccola oligarchia un potere enorme, di fatto recitando la libertà del web. Ecco il perché del Primo Emendamento. Non è un caso se pure Tim Berners-Lee, inventore del www, si è da sempre detto contrario a una legge che piazzi il web dentro certi ranghi.

net neutralityEcco cosa succederebbe senza Neutralità della Rete

Cosa c’entriamo noi

Governo USA, Trump, FCC, utenti americani: l’Italia e l’Europa cosa c’entrano in tutto ciò? Per adesso ben poco perché la questione riguarda altri ma il fatto è che il Parlamento Europeo già in passato ha approvato misure poco chiare in quanto a neutralità. Una volta sdoganato il concetto oltreoceano chi vieta che non venga applicato anche da questa parte?

Peraltro, qualora dovesse passare la modifica della norma Obama, molte delle aziende statunitensi che traggono business cospicui anche al di fuori degli States avrebbero qualche occasione per praticare una strategia di approccio simile da noi.

Accordi internazionali

Stringere accordi con gli operatori internet in Europa non sarebbe così difficile e consentirebbe al Netflix di turno di dare l’esclusiva delle sue trasmissioni a provider selezionati, che a quel punto diventerebbero “premium carrier”, con un vantaggio competitivo non da poco. Il risultato? Chi è cliente di quell’ISP magari potrà continuare a mettere Play quando vuole mentre gli altri, con connessioni differenti, potrebbero dover sostenere costi aggiuntivi. Vi sembra giusto? A noi no.  

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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