Cloud delle cose, un solo cervello per tutti i dispositivi connessi del futuro
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Tecnologia

Cloud delle cose, un solo cervello per tutti i dispositivi connessi del futuro

Nel 2025 avremo più di 50 miliardi di dispositivi connessi in grado di comunicare tra loro. Serve un sistema per gestire questa infrastruttura e per sottrarla al controllo di aziende e governi. Il Cloud delle cose potrebbe essere una soluzione, ma a qualcuno un'intelligenza artificiale così distribuita fa paura

Philip K. Dick una volta disse che la vera paranoia non consiste nel credere che il tuo capo stia cospirando contro di te, ma che il telefono del tuo capo stia cospirando contro di te. Ora, Philip Dick era un genio disturbato, alterato dalle droghe e pericolosamente incline alla paranoia più autodistruttiva, eppure, come spesso accade con la fantascienza, una delle sue tante “divine visioni” si sta avverando.

In un nuovo studio pubblicato da Pew Research, alcuni ricercatori e addetti ai lavori si sono interrogati su come cambierà internet e il nostro rapporto con dispositivi mobile di qui al 2025. Stando allo studio, fra dieci anni la tecnologia diventerà sempre più integrata e meno visibile: sensori e telecamere saranno dovunque e la quantità di dati sensibili che vengono rastrellati ogni giorno aumenteranno esponenzialmente. Questa tendenza, nel giro di poco tempo, porterà alla nascita di un Cloud of Things (Cloud delle cose), una situazione in cui i dispositivi e le macchine saranno davvero in grado di comunicare tra loro alle nostre spalle, utilizzando al posto delle parole i nostri dati sensibili.

Per comprendere meglio la cosa è necessario un esempio pratico: è lunedì mattina, la sveglia suona con mezz’ora d’anticipo, fuori dalla tua finestra senti il frastuono di un traffico insolito: c’è stato un incidente, c’è coda, e la tua sveglia – come tutti gli altri elettrodomestici in casa tua – ha ricevuto dal Cloud of things l’informazione relativa alla viabilità, accompagnata da un calcolo del tempo necessario ad arrivare in ufficio.

Non è difficile immaginare uno scenario simile, se si considera che nel 2008 il numero di dispositivi connessi ha superato il numero di esseri umani e che entro il 2020 questo numero potrebbe salire a 50 miliardi. L’idea di un futuro in cui ogni cosa è interconnessa e ogni tua esigenza viene predetta in anticipo è affascinante, ma porta con sé una serie di rischi enormi. Basti pensare che al momento chi raccoglie i dati non sono i dispositivi stessi, ma colossi dell’informatica come Google, Facebook e Amazon, che con i tuoi dati possono virtualmente fare ciò che vogliono, dal lucrare sulla pubblicità al controllare indisturbati ogni tua azione.

Secondo Mikey O’Connor , del GNSO Council, questa infrastruttura potrà essere utilizzata da alcuni governi per “sterminare” (letteralmente) le minoranze scomode: “Entro il 2025, almeno uno dei regimi illiberali avrà completamente sterminato una minoranza, aiutato in gran parte da questa novità tecnologica. Questo sarà possibile grazie a una rete di dispositivi che consentono di identificare e localizzare in tempo reale persone specifiche.

Per questo, già ora c’è chi preme perché il Cloud delle cose si articoli fin da subito come un’evoluzione democratica di quell'Internet delle cose di cui tanto si sta parlando. L’obbiettivo sarebbe la creazione di un cloud non proprietario in cui vengano raccolte le informazioni che gli utenti decidono volontariamente di condividere, perché possa fungere da intelligenza artificiale per la futura rete di dispositivi e macchinari connessi.

Un traguardo simile non è assolutamente facile da raggiungere. Al momento le corporazioni sono in notevole vantaggio nella corsa alla conquista del futuro internet. Esistono soluzioni alternative, come i Mesh Network , ma ci vorrà tempo perché possano fornire una valida scappatoia. Rimane poi da considerare i rischi legati alla creazione di un Cloud delle cose indipendente dal controllo delle corporazioni e capace, grazie all’apprendimento automatico, di autoregolarsi. Stephen Hawking, per dire, è convinto che una mossa del genere potrebbe essere il “peggiore e ultimo errore” compiuto dall’umanità.

Insomma: buona paranoia a tutti.

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Fabio Deotto