Bitcoin, ecco perché non sono sicuri
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Bitcoin, ecco perché non sono sicuri

Continui furti ai portafogli elettronici e tutele incerte per gli investitori rischiano di tagliare le ali alla moneta virtuale

Per quanto si presenti sotto la forma accattivante di un gettone dorato che accende di riflessi di luce lo schermo del computer, il bitcoin non è altro che una riga di codice. Un insieme finito di lettere e numeri che lo identifica, gli assegna un posticino nell’oceano della rete. Soprattutto, consente di comprarlo, venderlo, scambiarlo in modo quasi immediato.

Non è un dettaglio di poco conto, perché alla sua natura di bit è legata la sua fragilità. Doppia: da una parte perché come tutto ciò che è immateriale, in perenne viaggio sul web, finisce preda di quei criminali che non hanno bisogno di indossare una maschera. Come armi usano un mouse e una tastiera. Dall’altra perché, in quanto slegato da qualsiasi autorità o banca centrale, sfugge ai tentativi di incasellamento in una normativa unica, capace non tanto di regolarne i meccanismi, ma almeno di sanzionare con tempestività i comportamenti fraudolenti.

Ecco che la cronaca è piena di episodi poco incoraggianti per chi guarda con favore o curiosità al denaro hi-tech: il New York Times ha contato più di 30 casi in cui almeno mille bitcoin, l’equivalente grosso modo di un milione di dollari, sono stati rubati dai portafogli elettronici in cui erano custoditi o sono stati trasferiti illegalmente. E di questi, 10 casi superavano i 10 mila bitcoin, dunque oltre 10 milioni di dollari. Un tesoretto finito chissà dove.

L’impressione che se ne ricava, peraltro, è che non esistono zone franche, visto che una rapina, chiamiamola così, ha colpito un negozio on line di merce e droga illegale. Il bottino? Più di 100 milioni di dollari. Segno che tra i criminali della rete non c’è etica e rispetto reciproco o che, almeno, gli hacker non guardano in faccia a nessuno: prendono di mira speculatori, utenti semplici, mercato nero.

A spianare la strada a queste continue violazioni sono l’inerzia e, allo stesso tempo, i conflitti di competenza di chi dovrebbe vigilare sul regolare funzionamento dell’universo dei bitcoin. Già, ma a chi appartiene questo compito? Pechino, per esempio, ha risposto di non saper rispondere. Non è un gioco di parole, ma la conseguenza di una considerazione semplice: se il denaro hi-tech non è una valuta a tutti gli effetti, allora non rientra nelle regole del gioco e soprattutto nelle garanzie della finanza tradizionale. Da qui lo stop imposto dalla banca centrale cinese agli istituti finanziari che non possono dare servizi in bitcoin. I privati facciano come credono, ma si caricheranno il peso delle conseguenze.

Altrove, non va meglio. Solo uno dei trenta casi citati dal quotidiano americano ha visto il coinvolgimento di un’autorità di polizia, almeno a livello ufficiale. E se è vero che il tema è di tale attualità da non poter essere ignorato, da essere finito sulle scrivanie delle principali agenzie governative, l’estrema fluidità e la mancanza di un preciso riferimento geografico dei bitcoin, lasciano terreno libero o almeno una certa tranquillità ai criminali.

Specie perché, al di là degli episodi eclatanti, le vittime sono spesso gli utenti comuni, affascinati dai bitcoin, dalla loro semplicità, dai bazar proibiti di cui schiudono le porte, e, perché no, dalla loro filosofia di libertà senza troppi controlli. Basta fare un giro su un paio di forum per leggere casi di furti di somme più o meno piccole, di venditori spariti nel nulla protetti dall’anonimato che il sistema in linea teorica garantisce, per rendersi conto della mancanza di garanzie per chi viene raggirato. Per ingenuità, eccesso di buona fede e, anche, falle nel meccanismo che tiene insieme il sistema.

Il numero di Panorama in edicola questa settimana dedica un ampio e approfondito servizio ai bitcoin per spiegare cosa sono, come funzionano, come utilizzarli e anche tentare di proteggersi. Nell’attesa che il vuoto normativo venga colmato, che le procedure di difesa diventino adeguate. Qualcuno è certo che si tratti solo di una questione di tempo. Patrick Murck, consigliere generale della fondazione Bitcoin, un gruppo che promuove la moneta virtuale, si è detto fiducioso che tutta l’attenzione intorno al tema finirà per svegliare le autorità spingendole a impegnarsi sul serio per scovare i ladri di monete. Magari, aggiungiamo noi, con pene esemplari che possano funzionare come deterrente. Nel frattempo, in assenza di riferimenti certi, il far west non è un'ipotesi troppo remota.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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