La gara giovane delle auto green del futuro
Ermindo Armino/AP Images for Shell
Tecnologia

La gara giovane delle auto green del futuro

Il racconto della Shell Eco-marathon, dove vincono i prototipi che consumano meno e dove gli studenti italiani si fanno onore

da Rotterdam

Ogni passo nel capannone dei paddock, una schiera di corridoi e postazioni chiuse su tre lati da pannelli in compensato, è scandito da un brusio di sottofondo di musica da discoteca, chiacchiere smorzate, colpi improvvisi di trapano. C’è chi si concede un panino stracarico di maionese e formaggio, qualcuno sonnecchia su una poltrona, ma la maggior parte degli occhi sono fissi sulle vetture. Il perfezionismo è poco incline alle distrazioni, ogni dettaglio va calibrato allo sfinimento. Manca poco, tra un po’ si scende in pista.

All’esterno il sole batte con inaspettata e benedetta violenza sul circuito, per questa fetta d’Olanda di ponti maestosi, porti infiniti e canali dappertutto è una rarità persino d’estate. L’anno scorso pioveva, la fila per la gara era un serpentone monotono di ombrelli spalancati, ora invece nell’attesa ci si abbronza, mentre lo sguardo indugia sull’arcobaleno delle tute e delle auto cercando di carpire qualche debolezza o tremore del vicino. Ci sono gli «Urban concept», evoluzioni delle vetture tradizionali, magari un po’ più piccole, ma che si guidano come siamo abituati e in compenso bevono pochissimo carburante. Ci sono i prototipi, dal look futuristico e la forma oblunga, l'assetto molto ribassato, capolavori di aerodinamica costruiti per cancellare l’attrito e filare liscissimi sull’asfalto. Quest'anno, credeteci, una squadra francese ha fatto registrare performance pari a 3.314,9 chilometri con un solo litro di benzina. La stessa distanza che c'è tra Lisbona e Varsavia. Per calcolare queste prestazioni si cronometra il tempo in pista, poi si fa la proporzione.

Ecco in sintesi lo spirito della Shell Eco-marathon, trentesima edizione di una kermesse che non premia chi va più veloce ma chi arriva più lontano con i consumi più ridotti. Le squadre si iscrivono, scelgono tra benzina, diesel, etanolo, energia elettrica e altre variazioni sul tema, costruiscono il loro modello e poi si sfidano. Ne sono arrivate 198 da 27 Paesi d’Europa e Africa, i partecipanti sono tremila in tutto. Il vero punto, la nota a margine che poi è l’elemento principale, è che non sono ingegneri professionisti o costole dei colossi dei motori a gareggiare, ma studenti di scuole superiori e università.

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I professori li aiutano e li incoraggiano, però sono i ragazzi a sacrificare generose fette di tempo libero, a progettare questi abbozzi di auto green del futuro, a costruirle, a trovare i finanziamenti necessari per coprire i costi di assemblaggio, dei materiali, del viaggio fino alla vicina o lontana Olanda. Chi vince nelle varie categorie, una per ogni tipo di carburante e per tipologia di veicolo più altri riconoscimenti accessori, si aggiudica 1.500 euro. Poco o nulla rispetto al lavoro e alle spese sostenute, ma la gioia di avercela fatta ha un valore inestimabile. Ancor di più la possibilità di essere notati da un’azienda che conta, o di progettare una miglioria che diventerà di serie su larga scala. Improbabile? Niente affatto. Il sistema «start e stop», ricordano gli organizzatori, è figlio della Shell Eco-marathon.

Certo, ci sono i team più rustici, come quelli della Nigeria, comunque con elementi di notevole fierezza come gli interni cuciti a mano, ma non mancano le prove generali di eccellenze tecnologiche. I danesi della Aalborg University usano stampanti 3D per creare molti componenti delle auto. Non sono i soli. La Aston University di Birmingham ha un prototipo in legno, esperimento ecosostenibile che affianca la leggerissima e onnipresente fibra di carbonio. Ci sono i francesi, che testano le loro creature nelle gallerie del vento, in puro stile Formula 1; i padroni di casa, com’è ovvio, i turchi, gli inglesi, ognuno con quei guizzi d’entusiasmo, fiducia e un pizzico di preoccupazione che balena all'improvviso negli sguardi.

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Per l’Italia i team sono otto e quest’anno si sono fatti molto onore. Uno in particolare, l’Itip L. Bucci di Faenza, che partecipa da 18 anni e da sempre punta sullo spirito di squadra. «Vale in generale, in senso ampio: con gli altri italiani ci siamo anche scambiati i ricambi» racconta il 19enne Federico Melandri. Il resto è unto e sudore, «pranzi saltati, sveglia alle 6.30 del mattino e poi al lavoro fino alle due di notte», finché la macchina non risponde come si deve. Sforzi premiati in abbondanza, visti i risultati: l’urban concept alimentato a Gtl (gas-to-liquid) si è classificato al primo posto, con una performance di 232,01 chilometri con un litro. Sempre Faenza, in grandissimo spolvero, si è piazzata al terzo posto con il prototipo a diesel, con 727,40 chilometri con un litro e risultati di efficienza energetica quasi triplicati rispetto all’anno scorso.

Poco distante dalla festa di Faenza, nei paddock ma anche geograficamente, c’è l’Istituto tecnico industriale di Carpi, che risponde presente all’appello da otto anni, stavolta con «Escorpio», le sue celle solari e le batterie al litio. «Ci aiutano ditte che in cambio di una sponsorizzazione ci fanno un prezzo di favore per la verniciatura o lo stucco. Comunque il lavoro e il merito è tutto dei ragazzi» spiega Stefano Covezzi, professore di tecnologia meccanica. «Questa competizione ci dà stimoli incredibili» aggiunge Lorenzo Ferrari, 18 anni, un cognome da predestinato e un futuro chiaro in testa: «Voglio fare l’ingegnere elettronico».
 
«Potentia» è invece il nome del prototipo dell’università degli studi della Basilicata. «Monta un motore molto piccolo, a iniezione diretta. Lo abbiamo modificato a fondo per dargli la massima efficienza. È una tecnologia che di solito si trova sulle supercar» dice Michele Nardozza, 25 anni, team leader di questa truppa che ha fatto 23 ore di viaggio in autobus, di fila, salvo rapide soste fisiologiche, per arrivare al Sud dell’Italia fino al picco d’Europa. Le parole che ricorrono sono tenacia, passione, sacrificio, ed è comprensibile.

C’è pure il divertimento, il senso di coesione che si sviluppa in questa strana gita scolastica che si svolge poco fuori Rotterdam, nella grossa arena Ahoy, sede di eventi sportivi e concerti, affiancata da un parco che per una settimana si trasforma in una densa tendopoli. I ragazzi dormono lì, cucinano lì, fanno amicizia, un po’ perché è bello così, un po’ per non far lievitare troppo i costi.

Ma non è dilettantismo, nessuno la vive come una vacanza e basta, in pista si fa sul serio. Molto sul serio fa il Politecnico di Torino, con le sue due vetture: «IDRApegasus» per i prototipi (arrivata al quarto posto nella categoria idrogeno) e «XAM», classificato ottavo tra gli Urban concept. Quella piemontese è una corazzata di 70 ragazzi che mescola competenze di ingegneria contaminata con l’architettura per il design dei veicoli, che ha un budget generoso e ambizioni oltre la competizione. Con un nome che ricorre: «XAM 2.0», veicolo elettrico da strada evoluzione di quello visto a Rotterdam che sarà prodotto in una piccola serie, all’inizio di mille esemplari, a dimostrazione che il connubio tra università e industria non solo è auspicabile, ma anche fruttuoso.

«Vogliamo indicare una strada per una mobilità alternativa e sostenibile. Ma anche arricchire il curriculum dei nostri studenti, che oltre all’esperienza teorica, divisa tra libri e computer, possono dimostrare di saper mettere le mani su un veicolo, anzi costruirlo da zero» sottolinea il team leader Alessandro Messana. In più le aziende se ne accorgono e la storia recente racconta di assunti in Maserati, Ferrari o al centro ricerche della Fiat due settimane dopo la laurea.  

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Ciliegina sulla torta, come testimonia la foto qui sopra, i ragazzi del Politecnico si sono aggiunti a quelli di Faenza nei festeggiamenti: a Rotterdam si sono aggiudicati il «Communication and marketing award», il premio che Shell assegna alla squadra più brava a trasmettere e diffondere i principi green della manifestazione. Sarà anche un capriccio sciovinista, ma è sempre un'emozione veder sventolare il tricolore sotto un cielo distante centinaia di chilometri dal recinto delle Alpi.  

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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