Facebook Exchange, la pubblicità in tempo reale e a misura d’utente
rielaborazione di un'immagine di DonkeyHotey @ Flickr
Tecnologia

Facebook Exchange, la pubblicità in tempo reale e a misura d’utente

Facebook prova a recuperare dallo scivolone finanziario studiando un modo per indirizzare agli utenti pubblicità mirate in tempo reale

Per spiegare in cosa consiste Exchange, la funzionalità per advertiser che Facebook sta testando in questi giorni, può tornare utile una metafora. Sei un allevatore, uno di quelli che ogni tanto lasciano pascolare liberamente le mucche, hai deciso che vuoi capire dove ogni singola mucca va a brucare, che tipo di erba preferisce, in modo da poter differenziare l’alimentazione nei periodi al chiuso. Allora doti ogni mucca di un chip e di una telecamera, guardi cosa mangiano, le marchi digitalmente dalla fattoria e quando tornano hai già pronto un mangime differenziato per ognuna di loro.

Ecco, Facebook Exchange funziona un po’ allo stesso modo. L’unica cosa è che al posto delle mucche ci siete voi.

Il sistema , attualmente in fase di test a Menlo Park, funziona così: quando un utente Facebook lascia il social network e visita un sito che integra Facebook Exchange (abbreviabile in FBX), utilizzando la tecnologia demand-side platform il sistema marca il computer di quell’utente con un cookie. Nel caso l’utente abbia interrotto un acquisto, o si sia soffermato sulla pagina di un prodotto senza poi acquistarlo, la DSP fornisce a Facebook l’ID anonimo dell’utente in modo che quando l’utente tornerà su Facebook, il social network riconosca il cookie depositato dalla DSP. Dal momento in cui l’utente lascia un sito che sfrutta Exchange (può essere un sito di viaggi, il rivenditore di una marca di smartphone, etc.) a quando ritorna a Facebook, gli advertiser hanno la possibilità di sviluppare un messaggio pubblicitario su misura così da poterlo indirizzare all’utente nel momento stesso in cui accede al suo profilo. Nel caso in cui ci siano diversi advertiser interessati a bersagliare l’utente, vince quello che mette sul piatto la cifra più alta.

Per fare un esempio: poniamo che tu voglia acquistare un paio di scarpe di una nota marca sportiva. Vai sul sito, scorri una serie di modelli, trovi quello che ti piace e decidi di acquistarlo. A metà dell’operazione, però cambi idea e rimetti in tasca la carta di credito. Un’ora dopo torni su Facebook, e ti appare un messaggio pubblicitario di quella marca sportiva che ti informa di un’offerta riguardante quel paio di scarpe.

Naturalmente, l’utente ha facolta di fare opt out e impedire a Facebook Exchange di tempestarlo di messaggi pubblicitari ultrapersonalizzati. Inoltre, da Menlo Park assicurano che agli advertiser non viene consegnata alcuna informazione personale sull’utente, solo le coordinate per far sì che l’ad raggiunga in tempo reale il bersaglio. Inoltre, Facebook Exchange interesserà solo gli ad tradizionali, non le sponsored stories e i premium ad.

La sensazione di essere mucche marcate che vengono seguite durante il pascolo, tuttavia, rimane. Con Facebook Exchange, Zuckerberg e soci operano una transizione piuttosto importante, da un sistema di advertising tutto sommato standard, a un sistema di retargeting estremamente mirato e “aggressivo”. Le ragioni di questo cambio di rotta sono palesi: dopo le cattive performance finanziarie degli ultimi tempi, Facebook ha bisogno di tre cose: monetizzare, monetizzare e monetizzare. Siccome la maggioranza dei suoi introiti arriva dalla pubblicità web, Facebook deve trovare il modo di rendere più proficua lapubblicità mobile e inventarsi nuovi modi per far deporre uova d’oro ai 900 milioni di galline del suo premiato pollaio.

Per la fine del 2012 il mercato dell’advertising statunitense supererà quota 15 miliardi di dollari, e secondo le previsioni Facebook arriverà a detenere quasi il 17% della torta. Con Facebook Exchange, a Menlo Park sperano di superare abbondantemente queste previsioni. Ma per riuscirci, è bene che tengano d’occhio Twitter, che nell’ultimo anno ha settuplicato i suoi proventi pubblicitari , e punta al miliardo di dollari di introiti entro il 2014.

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Fabio Deotto