Ecco come saranno i musei del futuro
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Tecnologia

Ecco come saranno i musei del futuro

Tra realtà virtuale, Google Glass e stampa 3D, visita guidata alle mostre di domani e ai primi esperimenti in corso

Sono per eccellenza i luoghi in cui la memoria si conserva, in cui il passato recita il ruolo di protagonista assoluto. Ma non sono impermeabili al futuro, anzi si domandano come abbracciarlo al meglio, come trasformarlo in un’opportunità. Soprattutto per attirare pubblico, che con le nuove tecnologie ha assoluta dimestichezza, che presumibilmente ha uno smartphone in tasca e sa come e volentieri accede a una rete Wi-Fi.

Il punto di partenza, per molti (l’elenco sarebbe sconfinato), è stato quello di dotarsi di una app ufficiale capace di sostituire le classiche mappe cartacee o le audioguide e condurre i visitatori da un’opera all’altra, spiegarle, svelare retroscena e curiosità. Altri, l’ultimo doppio caso è quello del museo nazionale preistorico ed etnografico «Luigi Pigorini» e di quello d’arte orientale «Giuseppe Tucci» di Roma hanno sposato la realtà aumentata: un narratore virtuale che, per intercessione di un tablet, compare accanto alle vetrine e ne illustra i contenuti, con corredo di foto, fumetti e video.

Ebbene, si tratta solo dell’antipasto di quello che sta arrivando e arriverà nei prossimi anni, stando alle anticipazioni di «Museums beyond the web», l’incontro annuale sul futuro del settore che si svolgerà a Londra il prossimo 7 novembre. Tre i pilastri: realtà virtuale, stampa 3D, Google Glass.

Delle potenzialità ampie, enormi, dei caschi come Oculus Rift e affini vi abbiamo già raccontato. Di fondo, la principale, è la medesima: portare chi li indossa in un mondo completamente altro, vicino o lontanissimo rispetto al punto in cui si trova poco importa, dandogli la possibilità di interagire con esso. Scontate le applicazioni legate a un museo: potremo girare tra i padiglioni del Louvre di Parigi o dell’Art Institute di Chicago senza prendere l’aereo, anzi senza muoverci dal divano. Certo, non sarà la stessa cosa, storceranno giustamente il naso i puristi. E poi, per quanto le immagini saranno ben realizzate, per quanto alta sarà la loro definizione, il tuffo nei bit non trasmetterà lo stesso brivido di avvicinarsi o allontanarsi da una tela, di coglierne le sfumature dei colori o apprezzare la possenza e la presenza scenica di una scultura. Di sicuro potrebbe funzionare come antipasto, per incuriosire o ingolosire possibili visitatori, dare loro un’anteprima delle meraviglie che troveranno a destinazione. E, perché no, portare fondi nuovi. Non c’è scritto da nessuna parte che la visita virtuale debba essere gratuita. Anzi.

Secondo grande filone è la stampa 3D. Qui si ricade di più nell’ottica dell’intrattenimento. Di coinvolgere il pubblico, in particolar modo quello più giovane, con attività collaterali che lo spingano (o spingano i genitori) ad acquistare i biglietti. L’esempio di scuola è il souvenir fai da te, stampato sul momento. Si decide quale scultura si vuole portar via – decisamente più complicato per i quadri, ma non è detto – e la si vede nascere sotto i propri occhi. Di nuovo, c’è un evidente potenziale economico, dove i costi sono di certo inferiori ai benefici. E non perché i musei vogliano diventare affamate macchine per far soldi, ma perché con questi metodi si potrebbero tappare alcune emorragie nei bilanci continuando a mantenere l’offerta artistica di sempre, con un corollario tecnologico di supporto.

Corollario che dovrà abbracciare la prossima ondata di indossabili che popoleranno il nostro polso e il nostro viso. Se su Apple Watch, Android Wear ed epigoni è ragionevole riproporre uno schema simile a quello delle app con gli smartphone – mappe, dettagli delle opere e affini a portata di dito – con i Google Glass le potenzialità sono maggiori. E non siamo nemmeno nel terreno delle speculazioni, delle ipotesi ragionevoli di futuro. MobileSoft, un’azienda italiana specializzata nello sviluppo di applicazioni legate all’internet delle cose, ha creato un meccanismo che grazie ai Beacon, piccoli ripetitori di segnale Bluetooth, consente a chi porta gli occhiali di Mountain View di ricevere in automatico informazioni sull’opera che sta guardando non appena gli si avvicina. Video, immagini, oppure audio. Senza che debba fare nulla. Senza che debba scorrere con le dita su un display. Un assaggio di domani che è già presente: i visitatori della mostra «Da Guercino a Caravaggio» in programma a Palazzo Barberini a Roma fino al prossimo 8 febbraio possono richiedere all'ingresso un paio di Google Glass e godersi tutti i contenuti extra vedendoli sfilare davanti ai loro occhi. È la prima volta in Italia. Ma presto potrebbe diventare la prassi.   

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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