Caro Mark, Facebook ha cercato di distruggere il mio business
Dalton Caldwell
Tecnologia

Caro Mark, Facebook ha cercato di distruggere il mio business

Dalton Caldwell ha scritto a Mark Zuckerberg per denunciare supposte vessazioni nei confronti di sviluppatori e creatori di startup. Ma potrebbe essere solo un tentativo di guadagnare visibilità

Non è quello che si dice “un buon periodo” per Facebook. Il motore finanziario stenta a recuperare ritmo, basti pensare che solo nel mese di giugno uno dei più facoltosi investitori, la Fidelity Investments, si è sbarazzato di qualcosa come 2 milioni di azioni, andando ad appesantire la picchiata del titolo che oggi galleggia sul fondo dei 20 dollari per azione. Non bastasse, oggi l’azienda di Menlo Park viene di nuovo trascinata sotto i riflettori della polemica. Un noto sviluppatore ha infatti firmato una lettera aperta a Mark Zuckerberg in cui accusa l’azienda di aver tentato di distruggere il suo business.

Lo sviluppatore in questione si chiama Dalton Caldwell e in passato si è distinto per aver fondato Imeem (un servizio poi assorbito da MySpace). Ora, stando alla sua “denuncia” (Facebook si è astenuto dal commentare la vicenda), avrebbe per le mani un nuovo prodotto che Facebook riterebbe competitivo con il suo freschissimo App Center (a proposito, da oggi è accessibile da ogni angolo del mondo).

Secondo Caldwell , le cose sarebbero andate così:
Lo scorso 13 giugno, Caldwell si presenta al quartier generale di Facebook per incontrarsi con alcuni pezzi grossi di Menlo Park (Zuckerberg escluso), è convinto di essere lì per assistere alla presentazione di una app iOS che Calwell ha contribuito a sviluppare per la piattaforma Facebook, in breve però diventa chiaro che l’obiettivo dei capoccia di Facebook è un altro. “L’incontro ha preso una brutta piega quando le persone nella stanza hanno spiegato che il prodotto che stavo costruendo entrava in competizione con l’annunciato Facebook App Center. I tuoi funzionari [rivolto a Zuckerberg N.d.A.] mi hanno spiegato che odiavano l’idea di dover competere con il mio ‘prodotto interessante’, e che dal momento che sono ‘un bravo ragazzo con una buona reputazione’, avevano intenzione di acquisire la mia compagnia perché partecipasse alla costruzione dell’App Center.

Caldwell non ci gira intorno, accusa Facebook (e, transitivamente, anche Twitter) di utilizzare questo approccio “o ti fai comprare o sei finito” come standard nelle relazioni con gli sviluppatori e i creatori di startup. Non solo, sottolinea la probabilità che l’utilizzo di questo approccio sia legato alle condizioni finanziarie in cui versa il social network: “Mark, non credo che gli esseri umani che lavorano a Facebook o a Twitter vogliano fare la cosa sbagliata. Il problema è che i dipendenti di Facebook e Twitter vedono il tuo titolo crollare e questo li fa andare fuori di testa. La tua compagnia, così come Twitter, ha dimostrato di voler fregare gli utenti e gli sviluppatori terzi, tutto in nome degli introiti pubblicitari.”. Qui Caldwell si riferisce alla decisione di Twitter di rendere più complicato l’utilizzo di API da parte di sviluppatori terzi, rischiando così di tagliar fuori piattaforme come Tweetbot o Flipboard.

Caldwell attacca, Facebook non risponde, insomma, per tre quarti della sua stesura, la lettera sembra in tutto e per tutto quello che vorrebbe essere: una esasperata e pubblica denuncia. Alcune cose, però, non tornano. Ad esempio: perché Caldwell ha aspettato quasi due mesi a pubblicare questa lettera? Ma soprattutto: perché nell’ultimo quarto la lettera aperta diventa una specie di manifesto per un nuovo concetto di social network?

Credo che le piattaforme social del futuro si comporteranno più come infrastrutture e meno come media company. Credo che il vostro dominio verrà usurpato da una quantità di piccole piattaforme social interoperanti con business model chiaro e sostenibile. Queste future compagnie verranno valutate per cifre molto più piccole di quelle che oggi rappresentano Facebook e Twitter. E credo che questo sia un bene.”

Basta grattare un pochino la superficie per capire che qui Caldwell sta parlando di se stesso. La sua più personale creatura – nome provvisorio: App.net -  punta a fornire all’utenza un social network che abbia come caratteristica principale quella di non ospitare alcun tipo di pubblicità. Un’idea interessante e lodevole, ma forse non abbastanza da convincere un numero sufficiente di investitori. A inizio luglio, Caldwell ha lanciato una campagna di crowdsourcing per raccogliere i 500.000 dollari per dare il calcio di inizio alla nuova piattaforma, a 11 giorni dalla scadenza, però, i dollari raccolti non superano quota 130.000. A fronte di questa situazione, la tempistica con cui la lettera è stata pubblicata è quantomeno sospetto.

Al momento, è difficile valutare se quella di Caldwell sia una autentica denuncia o un tentativo di attrarre l’attenzione sul suo nuovo progetto. Una cosa però è certa: questa non sarà l’ultima volta che sentiremo parlare di Dalton Caldwell e della sua crociata contro l’establishment dei social network.

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Fabio Deotto